mercoledì 19 marzo 2014

Semplicemente don Peppe

Pubblicato da santamariadelcarmine alle mercoledì, marzo 19, 2014
In onore di don Peppe Diana, testimone di grande umanità e di impegno fervente contro la camorra e la sua influenza sulla società campana:


 Don Peppe era semplicemente un prete, faceva (e bene) quello di mestiere: il capo scout, l’amico dei giovani, dei migranti e delle persone disabili. Il figlio, il fratello e il pastore d’anime. Il tifoso del Napoli e della Ferrari, il superstizioso e lo spericolato alla guida. Tante cose, ma non certo l’eroe. Non affrontava i camorristi a muso duro, non lanciava animosi anatemi, non era capopopolo né stratega. E questo non rende meno importante la sua testimonianza. Anzi, ci conforta nell’affermare che la lotta alle mafie dev’essere patrimonio di ciascuna e ciascuno, senza deleghe in bianco e senza depositari della verità che impartiscono lezioni o dispensano attestati di legalità.
A vent’anni dal suo assassinio don Peppe è testimone vivo di un’antimafia che è impegno quotidiano e concreto per la giustizia sociale, al fianco dei più deboli e al di là degli steccati ideologici. Trasmetteva ai giovani energia ed entusiasmo, agiva con coerenza e nettezza. Don Peppe non aveva i superpoteri, lavorava semplicemente al fianco della sua gente, dopo aver scelto con decisione di restare – lontano da carriere e riflettori cui pure avrebbe potuto ambire – a Casal di Principe, dov’erano le sue radici, il suo popolo, e dov’è maturato il frutto del suo impegno.
Semmai era (e in parte è ancora) il contesto che lo circondava ad essere “speciale”, nel senso però di anomalo: un far west fatto di violenza, affaristi senza scrupoli, politici conniventi, e una immensa zona grigia da cui negli anni è venuto fuori alla spicciolata qualche novello paladino dell’impegno antimafia. Non va dimenticato che vent’anni fa, mentre Giuseppe Quadrano entrava nella Chiesa di San Nicola chiedendo “Chi è don Peppe?”, tanta politica e tanta chiesa avevano la faccia rivolta altrove. A queste persone non è consentito oggi rispondere strumentalmente con il prete di Casale: “Don Peppe sono io”.
Questa frase può pronunciarla soltanto chi riesca a operare nel solco del suo esempio, replicando il metodo della semplicità prima che il “merito” delle sue opere. Non a caso i suoi amici e i coloro che ne hanno raccolto il testimone hanno chiaro in mente che se avesse sentito parlare delle “Terre di don Peppe Diana” avrebbe decisamente storto il naso. Un protagonismo che non gli si addiceva ma che in questi venti anni tanto ha giovato a una terra spesso identificata con il nome di un clan o con il riferimento esclusivo a rifiuti, morti e veleni.
Bene dunque che questo territorio lanci al Paese il suo messaggio di speranza facendo di don Peppe un simbolo, bene che arrivino i libri e le fiction “liberamente ispirate” alla sua vita. Ma se si vuole ottenere davvero un cambiamento non si deve commettere l’errore di farlo diventare l’eroe irraggiungibile e inimitabile da mettere su un piedistallo. Si farebbe un torto alla memoria di don Diana e si arrecherebbe un enorme danno a tutti coloro che le mafie vogliono combatterle nel loro piccolo, semplicemente “per amore del nostro popolo”.

Raffaele Lupoli

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