Il Papa ha lasciato Città del Vaticano ed ha raggiunto Castel Gandolfo. Alle ore 20.00 è ufficialmente terminato il suo ministero petrino e tutto il popolo cristiano alza un coro unanime: Grazie!
giovedì 28 febbraio 2013
mercoledì 27 febbraio 2013
L'ultima udienza di Benedetto XVI
Ecco il testo integrale dell'ultima Udienza Generale di Papa Benedetto XVI che ha avuto luogo questa mattina, in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di fedeli che si sono stretti attorno al Pontefice:
Distinte Autorità! Cari fratelli e sorelle!
Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima Udienza generale del mio pontificato. Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga per di abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo. Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10). In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e vive nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia. Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai.
E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore. Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…».
Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro.
Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio. A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino.
In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy.
Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo.
Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio. Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito. Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia. Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!
Papa Benedetto XVI
Piazza San Pietro
mercoledì 27 febbraio 2013
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato! Distinte Autorità! Cari fratelli e sorelle!
Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima Udienza generale del mio pontificato. Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga per di abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo. Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10). In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e vive nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia. Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai.
E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore. Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…».
Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro.
Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio. A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino.
In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy.
Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo.
Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio. Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito. Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia. Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!
domenica 24 febbraio 2013
Un voto riflessivo
Oggi dalle 08.00 alle 22.00 e domani dalle 07.00 alle 15.00 i cittadini sono chiamati a rinnovare la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica che dovranno poi esprimere la nuova maggioranza di governo, in un momento molto delicato. Le elezioni di quest'anno, al di là di populismi e demagogie, sono molto importanti per il futuro del nostro Paese e tutti i cittadini sono chiamati a partecipare attraverso l'impegno civico del voto. Don Angelo Sabatelli, sul periodico d'informazione diocesano "Impegno", cerca di far capire non solo l'importanza di votare, ma soprattutto l'importanza di dare un voto riflessivo:
La politica non è una cosa sporca, è una forma stupenda di carità perché si interessa del bene comune, del bene di tutti. Come ogni cosa umana può essere sporcata con la ricerca dell'interesse privato disonesto, con la menzogna, con la corruzione, ma non si deve generalizzare! Ci sono politici onesti e coraggiosi!
Dire che tutti sono corrotti serve solo a coprire i politici disonesti; ed è proprio questo quello che fanno alcuni media, la fabbrica del fango. Infangare tutti! Trovare a tutti i costi in ogni politico anche una piccolissima cosa sbagliata, o almeno giungere a insinuare il sospetto, in modo che si possa dire "sono tutti uguali".
La politica può essere sporcata dai politici quando invece di dire quello che pensano dicono menzogne per "accalappiare" il voto della gente. Fanno sondaggi per cogliere gli umori della gente e "recitano" quello che la gente vorrebbe sentirsi dire. Quando vanno in politica semplicemente per difendere i propri interessi personali o quando si lasciano comprare da poteri finanziari o economici.
Può essere sporcata anche dai cittadini quando chiedono ai politici privilegi, quando evadono le tasse, quando vendono il proprio voto in cambio di qualche beneficio. Quando danno un voto "emotivo", votano un candidato semplicemente perchè è "simpatico", "sa parlare bene in televisione"; quando danno un voto "superficiale": "mi è stato consigliato da qualcuno", "è di destra", "è di sinistra", "è di centro". Quando non si interessano di politica e rinunciano a votare. I cittadini nobilitano la politica quando si impegnano a dare un voto "riflessivo" e continuano a seguire la politica anche dopo la campagna elettorale. Si informano sul programma proposto, sulla moralità dei candidati, su quello che hanno fatto negli anni precedenti e lo fanno leggendo i giornali e seguendo i media di ogni colore.
Così mettono insieme i vari "pezzi di verità" e si formano una propria opinione. E' la fatica di pensare con la propria testa, la fatica che ci fa diventare cittadini attivi e responsabili impegnati nel "locale" e con uno sguardo al mondo intero.
La politica non è una cosa sporca, è una forma stupenda di carità perché si interessa del bene comune, del bene di tutti. Come ogni cosa umana può essere sporcata con la ricerca dell'interesse privato disonesto, con la menzogna, con la corruzione, ma non si deve generalizzare! Ci sono politici onesti e coraggiosi!
Dire che tutti sono corrotti serve solo a coprire i politici disonesti; ed è proprio questo quello che fanno alcuni media, la fabbrica del fango. Infangare tutti! Trovare a tutti i costi in ogni politico anche una piccolissima cosa sbagliata, o almeno giungere a insinuare il sospetto, in modo che si possa dire "sono tutti uguali".
La politica può essere sporcata dai politici quando invece di dire quello che pensano dicono menzogne per "accalappiare" il voto della gente. Fanno sondaggi per cogliere gli umori della gente e "recitano" quello che la gente vorrebbe sentirsi dire. Quando vanno in politica semplicemente per difendere i propri interessi personali o quando si lasciano comprare da poteri finanziari o economici.
Può essere sporcata anche dai cittadini quando chiedono ai politici privilegi, quando evadono le tasse, quando vendono il proprio voto in cambio di qualche beneficio. Quando danno un voto "emotivo", votano un candidato semplicemente perchè è "simpatico", "sa parlare bene in televisione"; quando danno un voto "superficiale": "mi è stato consigliato da qualcuno", "è di destra", "è di sinistra", "è di centro". Quando non si interessano di politica e rinunciano a votare. I cittadini nobilitano la politica quando si impegnano a dare un voto "riflessivo" e continuano a seguire la politica anche dopo la campagna elettorale. Si informano sul programma proposto, sulla moralità dei candidati, su quello che hanno fatto negli anni precedenti e lo fanno leggendo i giornali e seguendo i media di ogni colore.
Così mettono insieme i vari "pezzi di verità" e si formano una propria opinione. E' la fatica di pensare con la propria testa, la fatica che ci fa diventare cittadini attivi e responsabili impegnati nel "locale" e con uno sguardo al mondo intero.
sabato 23 febbraio 2013
Don Peppino Cito presenta il progetto pastorale del decennio
Lo scorso 22 Febbraio, ci ha raggiunti in Parrocchia il direttore dell'Ufficio Catechistico Diocesano don Peppino Cito il quale ha presentato il progetto pastorale "L'urgenza dell'ora: educare", introdotto lo scorso anno da S.E. Mons. Domenico Padovano.
L'incontro è stato molto coinvolgente e incentrato sul come cercare di attuare il progetto pastorale nella nostra parrocchia, o meglio di come tradurre gli orientamenti del Vescovo in termini operativi, passando quindi da un livello puramente teorico ad un livello pratico.
E' importante sottolineare come uno dei nodi fondamentali risulti essere quello di destrutturare l'impianto di pastorale ordinaria, avvicinandosi maggiormente alle esperienze di vita concreta delle persone alle quali ci si rivolge. Oggi, infatti, molte sono le domande alle quali la Chiesa è chiamata a rispondere e la maggior parte di queste domande riguardano proprio il vissuto: sono i tanti perché di cose che accadono e che difficilmente si accettano, sono i problemi di vita quotidiana. L'attività pastorale della chiesa non può pensare di chiudersi in sé stessa, di limitarsi a svolgere il compito prescritto, tenendo lontani i problemi e le situazioni difficili che attraversano la vita delle persone.
La sfida del nostro tempo, avviata dal nostro Vescovo, consiste pertanto nello stimolare le potenzialità educative già esistenti nelle nostre parrocchie, migliorando ciò che è stato fatto in passato, e per far questo il Vescovo ci da una serie di indicatori (di cui si può prender visione nel libretto "Urgenza dell'ora educare") atti a stimolare miglioramenti negli ambiti principali dell'azione pastorale e cioè catechesi, liturgia e carità.
Ieri sera, don Peppino Cito, ha voluto proprio stimolare i presenti, sia a livello individuale che collettivo, portandoli a ragionare, e poi a condividere con altri in gruppo, sul come utilizzare questi indicatori per migliorare un'attività pastorale a scelta. Dai vari gruppi sono emerse importanti riflessioni che in futuro potranno avere sicuri riflessi sull'attività pastorale della nostra parrocchia.
L'incontro è stato molto coinvolgente e incentrato sul come cercare di attuare il progetto pastorale nella nostra parrocchia, o meglio di come tradurre gli orientamenti del Vescovo in termini operativi, passando quindi da un livello puramente teorico ad un livello pratico.
E' importante sottolineare come uno dei nodi fondamentali risulti essere quello di destrutturare l'impianto di pastorale ordinaria, avvicinandosi maggiormente alle esperienze di vita concreta delle persone alle quali ci si rivolge. Oggi, infatti, molte sono le domande alle quali la Chiesa è chiamata a rispondere e la maggior parte di queste domande riguardano proprio il vissuto: sono i tanti perché di cose che accadono e che difficilmente si accettano, sono i problemi di vita quotidiana. L'attività pastorale della chiesa non può pensare di chiudersi in sé stessa, di limitarsi a svolgere il compito prescritto, tenendo lontani i problemi e le situazioni difficili che attraversano la vita delle persone.
La sfida del nostro tempo, avviata dal nostro Vescovo, consiste pertanto nello stimolare le potenzialità educative già esistenti nelle nostre parrocchie, migliorando ciò che è stato fatto in passato, e per far questo il Vescovo ci da una serie di indicatori (di cui si può prender visione nel libretto "Urgenza dell'ora educare") atti a stimolare miglioramenti negli ambiti principali dell'azione pastorale e cioè catechesi, liturgia e carità.
Ieri sera, don Peppino Cito, ha voluto proprio stimolare i presenti, sia a livello individuale che collettivo, portandoli a ragionare, e poi a condividere con altri in gruppo, sul come utilizzare questi indicatori per migliorare un'attività pastorale a scelta. Dai vari gruppi sono emerse importanti riflessioni che in futuro potranno avere sicuri riflessi sull'attività pastorale della nostra parrocchia.
mercoledì 20 febbraio 2013
Progetto "Pro Bambini Kabul"
Ieri sera, al termine della Messa vespertina, dopo la recita dei Vespri, don Michele Petruzzi, Vice Direttore della Caritas Diocesana, ha presentato il nuovo progetto Caritas per una Quaresima di carità, soffermandosi in particolar modo sul rapporto tra fede e carità:
martedì 19 febbraio 2013
Quaresima di carità 2013
Nel ricordare che questa sera, al termine della Messa vespertina, nella nostra parrocchia ci sarà la presentazione, ad opera del Vice Direttore della Caritas Diocesana don Michele Petruzzi, del progetto Caritas per una Quaresima di carità, riportiamo le parole di don Michele pubblicate sul periodico diocesano "Impegno":
"La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l'una permette all'altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto."
Con queste illuminanti parole di Benedetto XVI, nel Motu proprio Porta fidei (paragrafo 14), indicendo l'Anno della Fede che stiamo vivendo, si sottolinea per noi l'occasione propizia per riscoprire il dono della fede che ha come frutto autentico e prezioso la carità.
La Quaresima da sempre è stata indicata come tempo favorevole per valorizzare, insieme alla preghiera e al digiuno, l'elemosina, intesa come tessere relazioni solidali con chi è nel disagio, fino a giungere ad una vera fraternità. Sempre Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima 2013 dice che la Quaresima è "un'occasione preziosa per meditare il rapporto tra fede e carità".
Su questa importante riflessione che ci accompagnerà nell'itinerario verso la Pasqua, come ogni anno, il nostro Vescovo Domenico propone all'attenzione e alla solidarietà di tutta la Chiesa diocesana un progetto che rende fruttuosa la nostra fede in Cristo morto e risorto. Si tratta del Progetto "Pro Bambini Kabul", in favore dei bambini disabili di Kabul, in Afghanistan.
L'Afghanistan si trova ancora in una situazione di grave povertà, unita ad una sostanziale debolezza istituzionale. Secondo alcune stime, il tasso di scolarizzazione è di 3,3 anni ed i minori sono sempre tra le fasce più disagiate della società, in maniera particolare i disabili. Dal 2004, a Kabul, è attivo il centro "Pro Bambini Kabul" gestito dall'associazione omonima, associazione nata dal lavoro in rete di diverse congregazioni religiose. Attualmente il centro è a servizio di 32 bambini con disabilità mentale.
Vengono garantite attività di formazione, di educazione sanitaria ed alimentare e il supporto medico, insieme ad attività ricreative e ludiche. Tutto ciò avviene anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie, delle scuole e delle istituzioni pubbliche. Il grande obiettivo di questo centro è offrire ai minori disabili uno spazio di formazione e di scambio, dando loro la dignità dal momento che non possono usufruire del sistema scolastico pubblico e vengono stigmatizzati dalla società e dalle famiglie. Il centro dipende necessariamente da aiuti esterni perché non vi è un sistema pubblico che garantisce un contributo. Il nostro sostegno è, pertanto, finalizzato alla copertura dei costi di funzionamento, in particolare per il personale (laici e religiosi come educatori), per la struttura e per l'acquisto di materiali didattici.
Dietro al nostro contributo per i costi di gestione del centro c'è da parte nostra la possibilità di essere un tassello per dare dignità a chi è debole e fragile. La nostra fede ci invita a riconoscere in ogni persona, senza distinzione, la dignità di essere ad immagine e somiglianza di Dio. Ed è questa fede che ci impegna a lavorare con tutte le forze perché sia sempre tutelata la dignità di ciascuno, attraverso la carità operosa che dona alla persona la libertà.
Don Michele Petruzzi |
Con queste illuminanti parole di Benedetto XVI, nel Motu proprio Porta fidei (paragrafo 14), indicendo l'Anno della Fede che stiamo vivendo, si sottolinea per noi l'occasione propizia per riscoprire il dono della fede che ha come frutto autentico e prezioso la carità.
La Quaresima da sempre è stata indicata come tempo favorevole per valorizzare, insieme alla preghiera e al digiuno, l'elemosina, intesa come tessere relazioni solidali con chi è nel disagio, fino a giungere ad una vera fraternità. Sempre Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima 2013 dice che la Quaresima è "un'occasione preziosa per meditare il rapporto tra fede e carità".
Su questa importante riflessione che ci accompagnerà nell'itinerario verso la Pasqua, come ogni anno, il nostro Vescovo Domenico propone all'attenzione e alla solidarietà di tutta la Chiesa diocesana un progetto che rende fruttuosa la nostra fede in Cristo morto e risorto. Si tratta del Progetto "Pro Bambini Kabul", in favore dei bambini disabili di Kabul, in Afghanistan.
L'Afghanistan si trova ancora in una situazione di grave povertà, unita ad una sostanziale debolezza istituzionale. Secondo alcune stime, il tasso di scolarizzazione è di 3,3 anni ed i minori sono sempre tra le fasce più disagiate della società, in maniera particolare i disabili. Dal 2004, a Kabul, è attivo il centro "Pro Bambini Kabul" gestito dall'associazione omonima, associazione nata dal lavoro in rete di diverse congregazioni religiose. Attualmente il centro è a servizio di 32 bambini con disabilità mentale.
Vengono garantite attività di formazione, di educazione sanitaria ed alimentare e il supporto medico, insieme ad attività ricreative e ludiche. Tutto ciò avviene anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie, delle scuole e delle istituzioni pubbliche. Il grande obiettivo di questo centro è offrire ai minori disabili uno spazio di formazione e di scambio, dando loro la dignità dal momento che non possono usufruire del sistema scolastico pubblico e vengono stigmatizzati dalla società e dalle famiglie. Il centro dipende necessariamente da aiuti esterni perché non vi è un sistema pubblico che garantisce un contributo. Il nostro sostegno è, pertanto, finalizzato alla copertura dei costi di funzionamento, in particolare per il personale (laici e religiosi come educatori), per la struttura e per l'acquisto di materiali didattici.
Dietro al nostro contributo per i costi di gestione del centro c'è da parte nostra la possibilità di essere un tassello per dare dignità a chi è debole e fragile. La nostra fede ci invita a riconoscere in ogni persona, senza distinzione, la dignità di essere ad immagine e somiglianza di Dio. Ed è questa fede che ci impegna a lavorare con tutte le forze perché sia sempre tutelata la dignità di ciascuno, attraverso la carità operosa che dona alla persona la libertà.
Don Michele Petruzzi
giovedì 14 febbraio 2013
Calendario eventi in periodo quaresimale
Ogni Venerdì sera, alle 18.00, avrà luogo la tradizionale Via Crucis in Parrocchia: ciò potrebbe comportare uno spostamento in avanti dell'orario di inizio della Messa vespertina;
Ogni sera, lungo tutto il periodo quaresimale, avrà luogo la recita dei Vespri alle ore 19.30;
Martedì 19 Febbraio 2013: don Michele Petruzzi presenta, al termine della Messa vespertina, il progetto Caritas per una Quaresima di carità;
Venerdì 22 Febbraio 2013: il direttore dell'Ufficio Catechistico Diocesano don Peppino Cito presenta, alle ore 19.30 presso il nostro salone parrocchiale, il progetto pastorale "L'urgenza dell'ora: educare";
Domenica 03 Marzo 2013: presso la Basilica Cattedrale di Monopoli sarà possibile venerare la santa reliquia del sangue del Beato Giovanni Paolo II;
Sabato 16 Marzo 2013: dopo il successo dello scorso anno si rinnova la raccolta di generi alimentari presso alcuni supermercati cittadini a cura dei gruppi Caritas parrocchiali: è questa l'opportunità per dare un aiuto concreto verso le famiglie indigenti che, purtroppo, sono in aumento;
Mercoledì 20, Giovedì 21 e Venerdì 22 Marzo 2013: liturgia penitenziale presso la Chiesa di San Domenico;
Triduo Pasquale: Giovedì 28 Marzo (S.Messa dell'Ultima Cena, Veglia di preghiera alle 22.30 a cura dei gruppi giovani e giovanissimi della Parrocchia e di Azione Cattolica); Venerdì 29 Marzo (Passione del Signore); Sabato 30 Marzo (Veglia pasquale nella Notte Santa);
Altri eventuali appuntamenti e precisazioni saranno resi noti lungo il periodo quaresimale; ad ogni modo rivolgiamo un appello per la raccolta di generi alimentari di lunga conservazione da destinare alle famiglie e alle persone che sono in difficoltà (la cesta della carità dove si possono lasciare le proprie donazioni è sempre presente in parrocchia)
mercoledì 13 febbraio 2013
Mercoledì delle Ceneri
"Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?" (Is 58, 6-7)
Durante la Santa Messa Vespertina (questa sera alle ore 18.30) avrà luogo il tradizionale rito di imposizione delle ceneri sul capo o sulla fronte di noi fedeli per ricordaci la caducità della vita terrena e per spronarci all'impegno penitenziale della Quaresima. Infatti, oggi inizia il Tempo liturgico quaresimale composto da quaranta giorni che ci preparano alla celebrazione della Pasqua di Resurrezione. Questo è un tempo caratterizzato da un impegno precipuo dei cristiani basato su digiuno, elemosina e preghiera.sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?" (Is 58, 6-7)
DALLE "ESPOSIZIONI SUI SALMI" DI SANT’AGOSTINO VESCOVO (En. in ps. 42, 7-8)
Le ali della tua preghiera
In un salmo è detto: Io dissi: Signore, abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te (Ps 4, 5). Questa supplica, fratelli, è sicura; ma vigilate nelle opere buone. Toccate il salterio obbedendo ai comandamenti, toccate la cetra, sopportando le passioni. Spezza il tuo pane per chi ha fame (Is 58, 7), ha detto Isaia; non credere che sia sufficiente il digiuno. Il digiuno ti mortifica, non soccorre gli altri. Saranno fruttuose le tue privazioni se donerai ad altri con larghezza. Ecco, hai defraudato la tua anima; a chi darai ciò che ti sei tolto? dove porrai ciò che hai negato a te stesso? Quanti poveri potrebbe saziare il pranzo che noi oggi abbiamo interrotto! Il tuo digiuno deve essere questo: mentre un altro prende cibo, godi di nutrirti della preghiera per la quale sarai esaudito. Continua infatti Isaia: Mentre ancora tu parli, io ti dirò: ecco son qui; se spezzerai di buon animo il pane a chi ha fame (Is 58, 9-10); perché di solito ciò vien fatto con tristezza e brontolando, per evitare il fastidio di colui che chiede, non per ristorare le viscere di chi ha bisogno. Ma Dio ama chi dona con letizia (2 Cor 9, 7). Se avrai dato il pane con tristezza, hai perduto il pane e il merito. Fa' dunque questo di buon animo, affinché colui che vede dentro mentre ancora stai parlando ti dica: Ecco son qui. Con quanta celerità sono accolte le preghiere di coloro che operano il bene! Questa è la giustizia dell’uomo in questa vita, il digiuno, l’elemosina, la preghiera. Vuoi che la tua preghiera voli fino a Dio? Donale due ali: il digiuno e l'elemosina. Così ci trovi, così tranquilli ci scopra la luce di Dio e la verità di Dio, quando verrà a liberarci dalla morte Colui che già è venuto a subire la morte per noi. Amen.
martedì 12 febbraio 2013
Festa di Carnevale
Nell'ultima fredda Domenica di carnevale, i bambini ed i giovanissimi della nostra Parrocchia hanno avuto l'occasione di festeggiare tutti insieme, al caldo, nel nostro salone parrocchiale. Il pomeriggio di festa è trascorso rapido tra coriandoli, balli e giochi (animati dai giovanissimi di ACR) che hanno fatto contenti soprattutto i numerosi bambini presenti che hanno certamente gradito anche l'immancabile merenda a base di patatine e dolci.
lunedì 11 febbraio 2013
XXI Giornata mondiale del malato
Oggi, 11 Febbraio 2013, ricorre la ventunesima giornata mondiale del malato e, come sempre, il nostro Papa Benedetto XVI non ha mancato di trasmetterci il suo messaggio nel quale ci ricorda come il Buon Samaritano sia il vero modello di chi cura e offre aiuto:
«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37)
Cari fratelli e sorelle!
1. L’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà in forma solenne, presso il Santuario mariano di Altötting, la XXI Giornata Mondiale del Malato. Tale giornata è per i malati, per gli operatori sanitari, per i fedeli cristiani e per tutte le persone di buona volontà «momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992, 3). In questa circostanza, mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi, cari ammalati che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza. A tutti giungano le parole rassicuranti dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine» (Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti).
2. Per accompagnarvi nel pellegrinaggio spirituale che da Lourdes, luogo e simbolo di speranza e di grazia, ci conduce verso il Santuario di Altötting, vorrei proporre alla vostra riflessione la figura emblematica del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Enc. Spe salvi, 37).
3. Vari Padri della Chiesa hanno visto nella figura del Buon Samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’Umanità smarrita e ferita per il proprio peccato (cfr Origene, Omelia sul Vangelo di Luca XXXIV, 1-9; Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 71-84; Agostino, Discorso 171). Gesù è il Figlio di Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che “si spoglia” del suo “abito divino”, che si abbassa dalla sua “condizione” divina, per assumere forma umana (Fil 2,6-8) e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitiamo nel Credo, e portare speranza e luce. Egli non considera un tesoro geloso il suo essere uguale a Dio, il suo essere Dio (cfr Fil 2,6), ma si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza.
4. L’Anno della fede che stiamo vivendo costituisce un’occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto. A questo proposito, vorrei richiamare alcune figure, tra le innumerevoli nella storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, affinché siano di esempio e di stimolo. Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, “esperta della scientia amoris” (Giovanni Paolo II, Lett. ap., Novo Millennio ineunte, 42), seppe vivere «in unione profonda alla Passione di Gesù» la malattia che la condusse «alla morte attraverso grandi sofferenze». (Udienza Generale, 6 aprile 2011). Il Venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei Santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes. Mosso dalla carità verso il prossimo, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo fra l’altro la Giornata Mondiale contro la Lebbra. La beata Teresa di Calcutta iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono “non voluti, non amati, non curati”. Sant’Anna Schäffer di Mindelstetten seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo: «il letto di dolore diventò… cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario… Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio» (Omelia per la canonizzazione, 21 ottobre 2012). Nel Vangelo emerge la figura della Beata Vergine Maria, che segue il Figlio sofferente fino al supremo sacrificio sul Golgota. Ella non perde mai la speranza nella vittoria di Dio sul male, sul dolore e sulla morte, e sa accogliere con lo stesso abbraccio di fede e di amore il Figlio di Dio nato nella grotta di Betlemme e morto sulla croce. La sua ferma fiducia nella potenza divina viene illuminata dalla Risurrezione di Cristo, che dona speranza a chi si trova nella sofferenza e rinnova la certezza della vicinanza e della consolazione del Signore.
5. Vorrei infine rivolgere il mio pensiero di viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religiose impegnate nella pastorale sanitaria, alle associazioni degli operatori sanitari e del volontariato. In tutti possa crescere la consapevolezza che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 38).
Affido questa XXI Giornata Mondiale del Malato all’intercessione della Santissima Vergine Maria delle Grazie venerata ad Altötting, affinché accompagni sempre l’umanità sofferente, in cerca di sollievo e di ferma speranza, aiuti tutti coloro che sono coinvolti nell’apostolato della misericordia a diventare dei buoni samaritani per i loro fratelli e sorelle provati dalla malattia e dalla sofferenza, mentre ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 2 gennaio 2013
Benedictus PP XVI
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
PER LA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
(11 FEBBRAIO 2013)
PER LA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
(11 FEBBRAIO 2013)
«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37)
Cari fratelli e sorelle!
1. L’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà in forma solenne, presso il Santuario mariano di Altötting, la XXI Giornata Mondiale del Malato. Tale giornata è per i malati, per gli operatori sanitari, per i fedeli cristiani e per tutte le persone di buona volontà «momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992, 3). In questa circostanza, mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi, cari ammalati che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza. A tutti giungano le parole rassicuranti dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine» (Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti).
2. Per accompagnarvi nel pellegrinaggio spirituale che da Lourdes, luogo e simbolo di speranza e di grazia, ci conduce verso il Santuario di Altötting, vorrei proporre alla vostra riflessione la figura emblematica del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Enc. Spe salvi, 37).
3. Vari Padri della Chiesa hanno visto nella figura del Buon Samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’Umanità smarrita e ferita per il proprio peccato (cfr Origene, Omelia sul Vangelo di Luca XXXIV, 1-9; Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 71-84; Agostino, Discorso 171). Gesù è il Figlio di Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che “si spoglia” del suo “abito divino”, che si abbassa dalla sua “condizione” divina, per assumere forma umana (Fil 2,6-8) e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitiamo nel Credo, e portare speranza e luce. Egli non considera un tesoro geloso il suo essere uguale a Dio, il suo essere Dio (cfr Fil 2,6), ma si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza.
4. L’Anno della fede che stiamo vivendo costituisce un’occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto. A questo proposito, vorrei richiamare alcune figure, tra le innumerevoli nella storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, affinché siano di esempio e di stimolo. Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, “esperta della scientia amoris” (Giovanni Paolo II, Lett. ap., Novo Millennio ineunte, 42), seppe vivere «in unione profonda alla Passione di Gesù» la malattia che la condusse «alla morte attraverso grandi sofferenze». (Udienza Generale, 6 aprile 2011). Il Venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei Santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes. Mosso dalla carità verso il prossimo, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo fra l’altro la Giornata Mondiale contro la Lebbra. La beata Teresa di Calcutta iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono “non voluti, non amati, non curati”. Sant’Anna Schäffer di Mindelstetten seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo: «il letto di dolore diventò… cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario… Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio» (Omelia per la canonizzazione, 21 ottobre 2012). Nel Vangelo emerge la figura della Beata Vergine Maria, che segue il Figlio sofferente fino al supremo sacrificio sul Golgota. Ella non perde mai la speranza nella vittoria di Dio sul male, sul dolore e sulla morte, e sa accogliere con lo stesso abbraccio di fede e di amore il Figlio di Dio nato nella grotta di Betlemme e morto sulla croce. La sua ferma fiducia nella potenza divina viene illuminata dalla Risurrezione di Cristo, che dona speranza a chi si trova nella sofferenza e rinnova la certezza della vicinanza e della consolazione del Signore.
5. Vorrei infine rivolgere il mio pensiero di viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religiose impegnate nella pastorale sanitaria, alle associazioni degli operatori sanitari e del volontariato. In tutti possa crescere la consapevolezza che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 38).
Affido questa XXI Giornata Mondiale del Malato all’intercessione della Santissima Vergine Maria delle Grazie venerata ad Altötting, affinché accompagni sempre l’umanità sofferente, in cerca di sollievo e di ferma speranza, aiuti tutti coloro che sono coinvolti nell’apostolato della misericordia a diventare dei buoni samaritani per i loro fratelli e sorelle provati dalla malattia e dalla sofferenza, mentre ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 2 gennaio 2013
Benedictus PP XVI
mercoledì 6 febbraio 2013
Le Quarantore in Parrocchia
Nei primi tre giorni della settimana, la nostra Parrocchia ha vissuto le "Quarantore" di adorazione eucaristica: esse sono state l'occasione per rendere culto al Santissimo Sacramento e per una predisposizione interiore all'avvento del periodo quaresimale.
"Il significato originario delle Quarant’Ore è quello di onorare Gesù Cristo durante le quaranta ore in cui giacque nel sepolcro durante la Settimana Santa. A partire da questa esigenza invalse l’uso di deporre l’ostia consacrata nascosta in un apposito altare sotto forma di sepolcro.
L’origine di questa devozione che porta il titolo di Oratio quadraginta horarum, è incerta. La prima testimonianza di tale pratica la troviamo tra i Battuti di Zara presso la chiesa di S. Silvestro, già prima del 1214, dove sorse pure la confraternita In Coena Domini delle Quarant’Ore.
L’uso di esporre il SS. Sacramento all’adorazione dei fedeli per quaranta ore continue al fine di propiziarsi l’intervento del Signore, specie in tempi di calamità e guerre, avvenne per la prima volta nel 1527 presso la chiesa del S. Sepolcro a Milano. Fu per iniziativa dell’agostiniano Antonio Bellotto di Ravenna (†1528), che istituì anche la scuola del Santo Sepolcro legata a tale scopo, avviando l’uso di ripetere le Quarant’Ore anche fuori la Settimana Santa. Il papa Paolo III, mediante la richiesta del vicario generale di Milano fatta a nome del governatore e del popolo milanese, approvò questa pratica con breve apostolico del 28 agosto 1537. I Cappuccini, a cui si unirono anche i Minoriti, furono ferventi propagatori dell’uso delle Quarant’Ore; altrettanto zelo fu espresso anche dai Gesuiti i quali diffusero quest’uso in tutta Europa e in Italia. Urbano VIII con l’enciclica Aeternus rerum Conditor del 6 agosto del 1623, prescrisse a tutte le chiese del mondo la celebrazione delle Quarant’Ore. Nei secoli successivi vari papi si sono occupati di esse con vari documenti, vanno ricordati: l’Instructio di Paolo V nel 1606 e di Innocenzo XI nel 1681. Per quanto riguarda la prassi, dall’indagine storica si rilevano due forme: un turno annuale ininterrotto d’adorazione di chiesa in chiesa (che si è affermata e mantenuta solo nelle grandi città per ragione di disponibilità di chiese e fedeli) e la forma sporadica, legata solo ad alcuni momenti dell’anno, fatta spesso senza l’adorazione notturna, che è quella più diffusa e in uso ancora oggi in molte comunità parrocchiali.
Nei secoli XVII e XVIII questa seconda forma fu introdotta nei tre giorni precedenti il mercoledì delle Ceneri come funzione riparatrice da opporre alle intemperanze del carnevale, sostenuta e diffusa dai Gesuiti. Tale iniziativa fu intrapresa, per la prima volta, a Macerata nelle Marche nel 1556. A causa di una commedia giudicata sconveniente, che si voleva mettere in scena nel carnevale di quella città, due missionari gesuiti pensarono bene di opporvi l’esposizione del SS. Sacramento secondo la forma del Quarant’Ore, dandogli il carattere di espiazione e di penitenza. Questa iniziativa ebbe la meglio sulla commedia, e da allora tale uso rituale si diffuse. Altro momento dell’anno dedicato alla celebrazione delle Quarant’Ore è l’inizio della Settimana Santa, legato tradizionalmente al precetto pasquale annuale, la cui collocazione temporale si ispira alla forma tradizionale più antica, sostenuta e diffusa dai Cappuccini." (dal Messale Romano, 1983)
"Il significato originario delle Quarant’Ore è quello di onorare Gesù Cristo durante le quaranta ore in cui giacque nel sepolcro durante la Settimana Santa. A partire da questa esigenza invalse l’uso di deporre l’ostia consacrata nascosta in un apposito altare sotto forma di sepolcro.
L’origine di questa devozione che porta il titolo di Oratio quadraginta horarum, è incerta. La prima testimonianza di tale pratica la troviamo tra i Battuti di Zara presso la chiesa di S. Silvestro, già prima del 1214, dove sorse pure la confraternita In Coena Domini delle Quarant’Ore.
L’uso di esporre il SS. Sacramento all’adorazione dei fedeli per quaranta ore continue al fine di propiziarsi l’intervento del Signore, specie in tempi di calamità e guerre, avvenne per la prima volta nel 1527 presso la chiesa del S. Sepolcro a Milano. Fu per iniziativa dell’agostiniano Antonio Bellotto di Ravenna (†1528), che istituì anche la scuola del Santo Sepolcro legata a tale scopo, avviando l’uso di ripetere le Quarant’Ore anche fuori la Settimana Santa. Il papa Paolo III, mediante la richiesta del vicario generale di Milano fatta a nome del governatore e del popolo milanese, approvò questa pratica con breve apostolico del 28 agosto 1537. I Cappuccini, a cui si unirono anche i Minoriti, furono ferventi propagatori dell’uso delle Quarant’Ore; altrettanto zelo fu espresso anche dai Gesuiti i quali diffusero quest’uso in tutta Europa e in Italia. Urbano VIII con l’enciclica Aeternus rerum Conditor del 6 agosto del 1623, prescrisse a tutte le chiese del mondo la celebrazione delle Quarant’Ore. Nei secoli successivi vari papi si sono occupati di esse con vari documenti, vanno ricordati: l’Instructio di Paolo V nel 1606 e di Innocenzo XI nel 1681. Per quanto riguarda la prassi, dall’indagine storica si rilevano due forme: un turno annuale ininterrotto d’adorazione di chiesa in chiesa (che si è affermata e mantenuta solo nelle grandi città per ragione di disponibilità di chiese e fedeli) e la forma sporadica, legata solo ad alcuni momenti dell’anno, fatta spesso senza l’adorazione notturna, che è quella più diffusa e in uso ancora oggi in molte comunità parrocchiali.
Nei secoli XVII e XVIII questa seconda forma fu introdotta nei tre giorni precedenti il mercoledì delle Ceneri come funzione riparatrice da opporre alle intemperanze del carnevale, sostenuta e diffusa dai Gesuiti. Tale iniziativa fu intrapresa, per la prima volta, a Macerata nelle Marche nel 1556. A causa di una commedia giudicata sconveniente, che si voleva mettere in scena nel carnevale di quella città, due missionari gesuiti pensarono bene di opporvi l’esposizione del SS. Sacramento secondo la forma del Quarant’Ore, dandogli il carattere di espiazione e di penitenza. Questa iniziativa ebbe la meglio sulla commedia, e da allora tale uso rituale si diffuse. Altro momento dell’anno dedicato alla celebrazione delle Quarant’Ore è l’inizio della Settimana Santa, legato tradizionalmente al precetto pasquale annuale, la cui collocazione temporale si ispira alla forma tradizionale più antica, sostenuta e diffusa dai Cappuccini." (dal Messale Romano, 1983)
lunedì 4 febbraio 2013
E' possibile visualizzare la gallery delle foto relative all'evento "La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa", con l'intervento di Mons.Benigno Papa, sul nostro sito istituzionale
E' possibile visualizzare il video concernente la parte iniziale della relazione di mons.Benigno Papa sul nostro Canale Youtube
E' possibile visualizzare il video concernente la presentazione del nuovo Direttorio diocesano ad opera di don Oronzo Negletto sul nostro Canale Youtube
E' possibile visualizzare il video concernente la parte iniziale della relazione di mons.Benigno Papa sul nostro Canale Youtube
E' possibile visualizzare il video concernente la presentazione del nuovo Direttorio diocesano ad opera di don Oronzo Negletto sul nostro Canale Youtube
IV Domenica con le famiglie
Care famiglie, Domenica 10 Febbraio 2013 ci attende la quarta domenica dedicata alla famiglia, pertanto invitiamo tutti voi a partecipare a questa giornata che ci vedrà coinvolti nel festeggiare il Carnevale.
Il programma prevede:
Vi aspettiamo!
Il programma prevede:
- alle ore 11.00 la partecipazione alla S.Messa;
- alle ore 13.00 il pranzo condiviso;
- alle ore 15.00 la festa di carnevale (per chi partecipa solo alla festa chiediamo di portare la merenda da condividere)
Vi aspettiamo!
Azione Cattolica Italiana
Parrocchia S.Maria del Carmine - Monopoli
Parrocchia S.Maria del Carmine - Monopoli
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