lunedì 31 dicembre 2012
Te Deum
Nell'augurare a tutti un sereno anno nuovo, condividiamo con voi tutti lo splendido inno di ringraziamento del Te Deum (latino: "Noi ti lodiamo, Dio") il quale, secondo tradizione, viene intonato la sera del 31 Dicembre di ogni anno, durante la Messa Vespertina, per ringraziare Dio dell'anno appena trascorso:
Associazione "Nuova Vita Onlus"
Nella giornata in cui la Chiesa Cattolica ha celebrato la Santa Famiglia di Nazareth, la nostra Parrocchia ha voluto dar voce all'Assocazione Nuova Vita Onlus, una realtà di Oria (Brindisi) da tempo occupata attivamente nella lotta contro la droga e l'abuso di alcol. Il quadro che è stato dipinto ai fedeli presenti alla celebrazione eucaristica è purtroppo reale: l'abuso di sostanze alcoliche e di stupefacenti è sempre più diffuso, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Tutto questo comporta notevoli conseguenze che ricadono sia sui "consumatori" che sulle loro famiglie; i volontari dell'associazione cercano di fornire un aiuto concreto sia dando assistenza (da sottolineare il loro lodevole sostegno a favore di malati di AIDS) sia attuando una campagna d'informazione volta a prevenire queste piaghe. Infatti, cadere nella trappola della droga è molto facile ed i giovanissimi sono molto esposti a questi pericoli, sia a causa di cattive frequentazioni e sia a causa di un certo isolamento familiare dovuto alla frenesia della nostra società che lascia poco spazio al rapporto genitore-figlio.
L'invito è di non essere indifferenti (l'indifferenza è uno dei mali peggiori, capace di un isolamento che uccide), di non pensare che queste sono tematiche che non ci riguardano (perchè purtroppo nessuno può esser certo che, un giorno, un proprio caro possa finire nel vortice della tossicodipendenza) e, se possibile, dare un proprio personale quanto significativo contributo. Cliccando sul link in basso si può accedere alla visualizzazione dell'opuscolo informativo che illustra la realtà dell'Associazione Nuova Vita Onlus e in esso è possibile anche trovare le varie modalità di sostentamento:
Opuscolo informativo
L'invito è di non essere indifferenti (l'indifferenza è uno dei mali peggiori, capace di un isolamento che uccide), di non pensare che queste sono tematiche che non ci riguardano (perchè purtroppo nessuno può esser certo che, un giorno, un proprio caro possa finire nel vortice della tossicodipendenza) e, se possibile, dare un proprio personale quanto significativo contributo. Cliccando sul link in basso si può accedere alla visualizzazione dell'opuscolo informativo che illustra la realtà dell'Associazione Nuova Vita Onlus e in esso è possibile anche trovare le varie modalità di sostentamento:
Opuscolo informativo
sabato 29 dicembre 2012
Addobbi ... in Parrocchia
Anche quest'anno la nostra Parrocchia si è vestita a festa in occasione del Santo Natale. Ecco le foto più rappresentative:
venerdì 28 dicembre 2012
Riscoprire il senso cristiano delle festività
Babbo Natale o Gesù? Chi festeggiamo a Natale? Questa domanda, oggi purtroppo non più così sorprendente, espressa da un bambino, ha spinto il papà Mimmo Muolo, nostro concittadino e vaticanista di Avvenire, a compiere un'indagine approfondita culminata con la stesura e la pubblicazione di un libro dal titolo molto significativo: "Le feste scippate". Giovedì sera, nel salone della nostra parrocchia, ha avuto luogo proprio la presentazione di questo lavoro, con la presenza del Presidente Diocesano di Azione Cattolica Carlo Tramonte (moderatore dell'incontro) e del Direttore dell'Istituto Pastorale Pugliese don Sandro Ramirez.
L'evento culturale, patrocinato dal Comune di Monopoli, ha permesso di approfondire il tema che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sprofonda nell'indifferenza generale. Che cosa sta accadendo alle feste cristiane? Siamo in pieno periodo natalizio eppure sembra che si stia festeggiando tutto tranne la cosa più importante: la nascita di Gesù. I Babbi natale, i giocattoli, le pubblicità ingannevoli e i mass media ormai sempre più scristianizzati hanno piantato il seme del dubbio persino nei bambini, così come dimostrato dall'aneddoto con cui Mimmo Muolo ha spiegato le ragioni della sua indagine. Come se non bastasse, l'errata interpretazione del concetto di laicità dello Stato ha portato molte istituzioni pubbliche, scuole comprese, a cancellare ogni riferimento cristiano non solo al Natale (caso più eclatante con i divieti di presepi, manifestazioni teatrali e canti natalizi), ma di ogni festività promossa dal calendario liturgico nel corso dell'anno. Mimmo Muolo ha altresì mostrato come ogni festività cristiana sia stata "affiancata" da una festività laica che ha, poco a poco, preso il sopravvento marginalizzando il significato religioso originale: basti pensare alla Pasqua, ormai divenuta una vera e propria festa di primavera, o alla solennità dell'Assunta, il cui giorno di festa è sempre più "onorato" come Ferragosto, o alla festa di Ognissanti, praticamente scalzata da Halloween (festa sempre più diffusa anche nella società italiana).
Una situazione del genere non può passare inosservata e bene ha fatto il vaticanista di Avvenire a portare a compimento questo lavoro che permette di accendere i riflettori sullo "scippo" in corso e di svegliare le coscienze assopite della maggior parte dei cristiani. L'analisi permette, infatti, anche di scoprire come la cultura dominante del capitalismo abbia ormai creato una mentalità materialista in ogni uomo, anche in colui che ha pochi mezzi a disposizione: e questa mentalità ha portato a relativizzare ogni spiritualità, a relativizzare Dio stesso così come denunciato da Papa Benedetto XVI.
Cosa si può fare per rimediare a questa situazione? Muolo invita innanzitutto i cristiani a riprendersi ciò che è stato loro scippato in questi anni e ciò comporta un risvegliarsi dall'assopimento in cui sono ultimamente sprofondati (usando le parole di Carlo Tramonte, tocca rimboccarsi le maniche!); dopodiché propone una ricetta condivisa dalla stessa Chiesa Cattolica così come confermato da don Sandro Ramirez: educare. Non è passato molto tempo dal convegno con il quale S.E. Mons. Domenico Padovano (ieri assente per motivi di salute, ha voluto comunque inviare i suoi saluti più sentiti) ha presentato il nuovo progetto pastorale del decennio che stiamo vivendo: in quell'occasione egli ha lanciato l'allarme sull'emergenza educativa che si sta palesando nella nostra società. Un grido d'allarme condiviso da Mimmo Muolo che vede nell'educazione la strada maestra per combattere la deriva che la nostra società sta attraversando ad ogni livello. Attraverso una concreta opera educativa si potrà ottenere non solo la riscoperta del senso profondo delle feste cristiane, ma si potrà anche combattere e prevenire quell'impoverimento culturale che rischia di danneggiare seriamente non solo noi cristiani, ma la società nel suo complesso.
L'evento culturale, patrocinato dal Comune di Monopoli, ha permesso di approfondire il tema che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sprofonda nell'indifferenza generale. Che cosa sta accadendo alle feste cristiane? Siamo in pieno periodo natalizio eppure sembra che si stia festeggiando tutto tranne la cosa più importante: la nascita di Gesù. I Babbi natale, i giocattoli, le pubblicità ingannevoli e i mass media ormai sempre più scristianizzati hanno piantato il seme del dubbio persino nei bambini, così come dimostrato dall'aneddoto con cui Mimmo Muolo ha spiegato le ragioni della sua indagine. Come se non bastasse, l'errata interpretazione del concetto di laicità dello Stato ha portato molte istituzioni pubbliche, scuole comprese, a cancellare ogni riferimento cristiano non solo al Natale (caso più eclatante con i divieti di presepi, manifestazioni teatrali e canti natalizi), ma di ogni festività promossa dal calendario liturgico nel corso dell'anno. Mimmo Muolo ha altresì mostrato come ogni festività cristiana sia stata "affiancata" da una festività laica che ha, poco a poco, preso il sopravvento marginalizzando il significato religioso originale: basti pensare alla Pasqua, ormai divenuta una vera e propria festa di primavera, o alla solennità dell'Assunta, il cui giorno di festa è sempre più "onorato" come Ferragosto, o alla festa di Ognissanti, praticamente scalzata da Halloween (festa sempre più diffusa anche nella società italiana).
Mimmo Muolo |
Cosa si può fare per rimediare a questa situazione? Muolo invita innanzitutto i cristiani a riprendersi ciò che è stato loro scippato in questi anni e ciò comporta un risvegliarsi dall'assopimento in cui sono ultimamente sprofondati (usando le parole di Carlo Tramonte, tocca rimboccarsi le maniche!); dopodiché propone una ricetta condivisa dalla stessa Chiesa Cattolica così come confermato da don Sandro Ramirez: educare. Non è passato molto tempo dal convegno con il quale S.E. Mons. Domenico Padovano (ieri assente per motivi di salute, ha voluto comunque inviare i suoi saluti più sentiti) ha presentato il nuovo progetto pastorale del decennio che stiamo vivendo: in quell'occasione egli ha lanciato l'allarme sull'emergenza educativa che si sta palesando nella nostra società. Un grido d'allarme condiviso da Mimmo Muolo che vede nell'educazione la strada maestra per combattere la deriva che la nostra società sta attraversando ad ogni livello. Attraverso una concreta opera educativa si potrà ottenere non solo la riscoperta del senso profondo delle feste cristiane, ma si potrà anche combattere e prevenire quell'impoverimento culturale che rischia di danneggiare seriamente non solo noi cristiani, ma la società nel suo complesso.
mercoledì 26 dicembre 2012
Notte di Natale in Parrocchia
Nella Notte di Natale la nostra Parrocchia si è riunita per la tradizionale Veglia seguita dalla Messa della Notte. E' stato un momento comunitario carico di forte emozione perché ha permesso di rivivere, tutti insieme, la venuta della Luce nel mondo; don Oronzo, durante l'omelia, ha ricordato come questa Luce rappresenti la vera speranza a cui tutti gli uomini si aggrappano, soprattutto nei momenti di vera difficoltà, come quelli che molti stanno vivendo in questo periodo così tormentato (preciso il riferimento alla crisi ambientale e sociale che ha colpito la città di Taranto alle prese con l'arduo bilanciamento di due diritti fondamentali, il diritto alla salute ed il diritto al lavoro) ed attraversato da una crisi non solo economica e sociale, ma anche morale. Forte è stato anche il riferimento alle giovani generazioni che si ritrovano a fare i conti con la mancanza di lavoro e con una società che non lascia loro molto spazio per affermarsi e per far valere i propri diritti. Ecco, in un quadro così precario e destabilizzante che porterebbe ad accrescere il pessimismo in ognuno di noi, c'è ancora qualcosa che è lì a darci fiducia, speranza in un mondo migliore: e quella speranza è rappresentata da Gesù che è venuto in mezzo a noi a donarci parole di vita eterna, parole che nessun altro ha mai pronunciato e che donano ad ogni credente la forza per affrontare i momenti più tristi e difficili che la vita pone dinanzi.
Al termine della celebrazione don Oronzo, insieme agli auguri per un sereno Natale, ha voluto ringraziare coloro che hanno reso possibile la buona riuscita di questo momento natalizio, in particolare il gruppo liturgico, il coro parrocchiale che ha animato la celebrazione e coloro che si sono dedicati alle pulizie.
Al termine della celebrazione don Oronzo, insieme agli auguri per un sereno Natale, ha voluto ringraziare coloro che hanno reso possibile la buona riuscita di questo momento natalizio, in particolare il gruppo liturgico, il coro parrocchiale che ha animato la celebrazione e coloro che si sono dedicati alle pulizie.
martedì 25 dicembre 2012
Buon Natale!
Sono nato nudo, dice Dio, perché tu sappia spogliarti di te stesso. Sono nato povero, perché tu possa soccorrere chi è povero. Sono nato debole, dice Dio, perché tu non abbia mai paura di me. Sono nato per amore perché tu non dubiti mai del mio amore. Sono una persona, dice Dio, perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso. Sono nato perseguitato perché tu sappia accettare le difficoltà. Sono nato nella semplicità perché tu smetta di essere complicato. Sono nato nella tua vita, dice Dio, per portare tutti alla casa del Padre.
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale augura a tutti un sereno e Santo Natale!
domenica 23 dicembre 2012
"Le Feste Scippate"
“...E’ necessario educare affinché, oltrepassati i confini della famiglia, si apra l’animo dei battezzati alle comunità sia della Chiesa che del mondo” (cfr. AA 30)
Giovedì 27 dicembre 2012, alle ore 19.00, presso l’Auditorium della Parrocchia S. Maria del Carmine, il Consiglio Pastorale Parrocchiale e l’Associazione Parrocchiale di Azione Cattolica di Santa Maria del Carmine, invitano la cittadinanza alla presentazione del libro “Le Feste Scippate - Riscoprire il senso cristiano delle festività”, di Mimmo Muolo.
La presentazione del libro sarà l'occasione per approfondire cosa sta accadendo alle feste cristiane. Sotto l’incalzare del consumismo, il 25 dicembre sembra ormai diventato il compleanno di Babbo Natale, anziché di Gesù, Pasqua viene scambiata per una generica festa della primavera, l’Assunta è quasi completamente assorbita nel solleone del Ferragosto e i Santi rischiano di essere dimenticati per l’invadente avanzata di Halloween. Si ha l’impressione che sia in atto un tentativo di «scippo» delle principali festività della fede cristiana, finalizzato a depotenziare la sua dimensione pubblica e quindi la sua incidenza sulla società. Come reagire a questo clima culturale? E come evitare che il furto sia definitivamente portato a compimento? Questo libro, invitando a riflettere sui fenomeni in atto, spiega anche perché impedire lo scippo significa evitare una perdita secca. Per tutta la società.
lunedì 10 dicembre 2012
"Burraco" in Parrocchia
Nel pomeriggio della scorsa "fredda" Domenica ha avuto luogo un nuovo avvincente torneo di burraco nel Salone Parrocchiale. Nonostante una temperatura gelida che scoraggiava l'uscita di casa, un folto gruppo di partecipanti non ha voluto mancare quest'occasione per trascorrere un pomeriggio in compagnia, in letizia e serenità. Che questo sia stato un evento ben riuscito è testimoniato dalla viva voce dei presenti che al termine della gara hanno non solo vivamente ringraziato l'organizzatrice del torneo, Rosa Ricco, ma hanno dato la loro piena disponibilità per un nuovo appuntamento.
Al bilancio positivo degli intervenuti si aggiunge anche il bilancio degli introiti derivanti sia dalla quota versata da ciascun partecipante al torneo, sia dal mercatino dell'Avvento, predisposto per l'occasione: l'incasso ha permesso infatti di infondere nuove risorse per la complessa gestione della Parrocchia che, come noto, ha affrontato numerosi lavori di restauro e di ristrutturazione.
Al ringraziamento verso tutti coloro che hanno reso possibile l'evento (incluse le signore della nostra Parrocchia che hanno messo al servizio dell'evento il loro talento culinario indispensabile per il buffet finale a base di focacce e dolci) e verso coloro che hanno contribuito con la loro partecipazione, si aggiunge il ringraziamento verso quelle realtà commerciali di Monopoli che hanno donato i premi utilizzati per premiare i migliori piazzamenti in classifica (anche se i veri vincitori sono stati l'allegria e la gioia di trascorrere del tempo insieme).
sabato 8 dicembre 2012
Papa: Immacolata modello della Chiesa incorruttibile
SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
DELLA BEATA VERGINE MARIA
DELLA BEATA VERGINE MARIA
ANGELUS
Piazza San Pietro
Sabato, 8 dicembre 2012
Cari fratelli e sorelle!
A tutti voi, buona festa di Maria Immacolata! In questo Anno della fede vorrei sottolineare che Maria è l’Immacolata per un dono gratuito della grazia di Dio, che ha trovato, però, in Lei perfetta disponibilità e collaborazione. In questo senso ella è “beata” perché «ha creduto» (Lc 1,45), perché ha avuto una fede salda in Dio. Maria rappresenta quel «resto di Israele», quella radice santa che i profeti hanno annunciato. In lei trovano accoglienza le promesse dell’antica Alleanza. In Maria la Parola di Dio trova ascolto, ricezione, risposta, trova quel «sì» che le permette di prendere carne e venire ad abitare in mezzo a noi. In Maria l’umanità, la storia si aprono realmente a Dio, accolgono la sua grazia, sono disposte a fare la sua volontà. Maria è espressione genuina della Grazia. Ella rappresenta il nuovo Israele, che le Scritture dell’Antico Testamento descrivono con il simbolo della sposa. E san Paolo riprende questo linguaggio nella Lettera agli Efesini là dove parla del matrimonio e dice che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (5,25-27). I Padri della Chiesa hanno sviluppato questa immagine e così la dottrina dell’Immacolata è nata prima in riferimento alla Chiesa vergine-madre, e successivamente a Maria. Così scrive poeticamente Efrem il Siro: «Come i corpi stessi hanno peccato e muoiono, e la terra, loro madre, è maledetta (cfr Gen 3,17-19), così a causa di questo corpo che è la Chiesa incorruttibile, la sua terra è benedetta fin dall’inizio. Questa terra è il corpo di Maria, tempio nel quale un seme è stato deposto» (Diatessaron 4, 15: SC 121, 102).
La luce che promana dalla figura di Maria ci aiuta anche a comprendere il vero senso del peccato originale. In Maria, infatti, è pienamente viva e operante quella relazione con Dio che il peccato spezza. In lei non c’è alcuna opposizione tra Dio e il suo essere: c’è piena comunione, piena intesa. C’è un «sì» reciproco, di Dio a lei e di lei a Dio. Maria è libera dal peccato perché è tutta di Dio, totalmente espropriata per Lui. E’ piena della sua Grazia, del suo Amore.
In conclusione, la dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria esprime la certezza di fede che le promesse di Dio si sono realizzate: che la sua alleanza non fallisce, ma ha prodotto una radice santa, da cui è germogliato il Frutto benedetto di tutto l’universo, Gesù, il Salvatore. L’Immacolata sta a dimostrare che la Grazia è capace di suscitare una risposta, che la fedeltà di Dio sa generare una fede vera e buona.
Cari amici, questo pomeriggio, com’è consuetudine, mi recherò in Piazza di Spagna, per l’omaggio a Maria Immacolata. Seguiamo l’esempio della Madre di Dio, perché anche in noi la grazia del Signore trovi risposta in una fede genuina e feconda.
venerdì 7 dicembre 2012
Presepe Parrocchiale
Sono trascorsi più di ottocento anni da quando il poverello d'Assisi, San Francesco, si fece fautore del primo presepe, realizzato a Greccio, vicino a Rieti: il suo amore intenso per il Vangelo fece nascere in lui l'ardente desiderio di vivere il Santo Natale in un modo più profondo e partecipato e fu così che nella notte santa del 1223 la natività di Gesù Cristo fu rappresentata e vissuta così intensamente da colpire tutti i presenti (testimoni di veri miracoli e incredibili guarigioni avvenute proprio in quella notte) i quali non si poterono trattenere dal divulgare e testimoniare ciò che i loro occhi increduli avevano visto; da allora la tradizione di preparare il presepe in occasione delle festività natalizie si è diffusa in ogni dove, raggiungendo anche il nostro tempo.
Ed è così che, come avviene nelle nostre case, anche nella nostra Parrocchia continuiamo, anno dopo anno, a seguire questa bellissima tradizione della rappresentazione della natività.
Quest'anno, il nostro parroco don Oronzo ha voluto fare in modo di trasmettere ai nostri giovanissimi la gioia che deriva dalla costruzione del presepe; con grande entusiasmo ognuno di loro ha accolto con forte motivazione ed entusiasmo quest'invito. Durante l'arco della settimana, ogni sera dopo la Messa vespertina, si sono messi al lavoro dietro la regia di Roberto Bortolotti e Franco Cataldo, con la guida dei loro educatori: in un clima di giocosità e partecipazione sono riusciti a portare a termine il lavoro loro affidato, consegnando alla comunità parrocchiale il presepe che l'accompagnerà lungo tutto il periodo natalizio.
Ed è così che, come avviene nelle nostre case, anche nella nostra Parrocchia continuiamo, anno dopo anno, a seguire questa bellissima tradizione della rappresentazione della natività.
Quest'anno, il nostro parroco don Oronzo ha voluto fare in modo di trasmettere ai nostri giovanissimi la gioia che deriva dalla costruzione del presepe; con grande entusiasmo ognuno di loro ha accolto con forte motivazione ed entusiasmo quest'invito. Durante l'arco della settimana, ogni sera dopo la Messa vespertina, si sono messi al lavoro dietro la regia di Roberto Bortolotti e Franco Cataldo, con la guida dei loro educatori: in un clima di giocosità e partecipazione sono riusciti a portare a termine il lavoro loro affidato, consegnando alla comunità parrocchiale il presepe che l'accompagnerà lungo tutto il periodo natalizio.
Aderire, scelta che nasce nel cuore
Il giorno 08 Dicembre, festa dell'Immacolata, l'Azione Cattolica Italiana celebra la giornata dell'Adesione. Mons.Domenico Sigalini spiega il significato di quest'adesione:
Aderire all’AC non è prendere la tessera dell’Automobil Club, che pure può essere una bella cosa per farsi soccorrere quando sei in panne con la tua automobile; non è come aderire alla raccolta di cibo per gli animali al supermercato, che è già molto meno nobile che aderire alla raccolta di cibo per i bambini che muoiono di fame; nemmeno è come abbonarsi a Sky per vedersi tutte le partite di calcio possibili, che oggi sono scandite come gli orari delle messe della domenica.
Aderire all’Azione Cattolica è rispondere di sì senza tentennamenti e con gioia al Signore della vita che ti chiama a mettere al centro della tua esistenza il Battesimo con altri cristiani come te, dentro una comunità, con uno sguardo d’amore intelligente e appassionato per il mondo in cui viviamo.
Aderire all’Azione Cattolica è acquistare un kit da portare sempre con sé: dentro ci sta una tuta da lavoro da metterti tutti i giorni che vai in chiesa, in parrocchia, al gruppo e la veste battesimale da portare in tutti i luoghi in cui passi la tua vita.
Aderire all’AC è dire di sì a Gesù Cristo che porta la sua croce e aiuta te a portare la tua e quella di tanti altri, senza farsi una faccia da bulldog, ma con la gioia di chi sa che attraverso la croce si arriva dritti alla gioia per se e per tutti.
Aderire all’AC è dire con coraggio e pubblicamente che sei innamorato di Gesù Cristo e te lo fai non solo stampare sulla tua T-shirt o tatuare sulla tua pelle, ma ti fai conformare la tua vita intera a Lui dallo Spirito Santo, aiutato dai tuoi amici.
Aderire all’AC non è solo mandare qualche sms per fare una raccolta di fondi spinto dall’emozione, ma decidere di sostenere tutto quello che serve per aiutare te a crescere e far crescere altri come te nella fede.
Aderire all’AC è dire a tutti che la Chiesa è tua, è tua madre, è la tua famiglia, è la tua casa, è il crocevia necessario per essere cristiani nel mondo.
Aderire all’AC è farsi aiutare a diventare coraggiosi testimoni del vangelo ovunque ti trovi a vivere: a scuola, in ufficio, in famiglia, nel tempo libero, in strada, allo stadio, nei cinema, al supermercato, in palestra, nel cantiere, all’ospedale, nei tuoi progetti e nei tuoi sogni.
Aderire all’AC è fare della propria vita, del proprio gruppo, della propria comunità cristiana una palestra di santità, con tanto di allenamenti, esercizi di fondo, mister, tempi di panchina, confronti decisivi con la vita, sconfitte e rivincite, seguendo esempi bellissimi e “nostrani”.
Aderire all’AC è molto meglio che facebook o Badoo: non ti accontenti di rapporti virtuali, ma con i tuoi amici vivi, preghi, gioisci, lavori, scrivi un mondo di relazioni vere, belle e importanti.
Aderire all’AC è entrare in un tessuto di relazioni che vuoi aprire a tutti i cristiani per toglierli da quella vita da single, che è un controsenso e che non dà lode a Dio e non serve a nessuno, nemmeno a se stessi.
Aderire all’AC è dire a tutti che col papa ci stai, lo ascolti e lo segui senza riserve e lo apprezzi anche al bar, col tuo vescovo sei corresponsabile e il tuo parroco non solo non lo sopporti, ma ti sta a cuore.
Aderire all’AC è farsi un cuore grande e generoso, capace di tendere l’orecchio a ogni chiamata del Signore, anche la più impegnativa e la più radicale. I conventi, le clausure, le canoniche, le missioni le famiglie non ci fanno paura, ma stanno nei nostri sogni.
Aderire all’AC non è prendere la tessera dell’Automobil Club, che pure può essere una bella cosa per farsi soccorrere quando sei in panne con la tua automobile; non è come aderire alla raccolta di cibo per gli animali al supermercato, che è già molto meno nobile che aderire alla raccolta di cibo per i bambini che muoiono di fame; nemmeno è come abbonarsi a Sky per vedersi tutte le partite di calcio possibili, che oggi sono scandite come gli orari delle messe della domenica.
Aderire all’Azione Cattolica è rispondere di sì senza tentennamenti e con gioia al Signore della vita che ti chiama a mettere al centro della tua esistenza il Battesimo con altri cristiani come te, dentro una comunità, con uno sguardo d’amore intelligente e appassionato per il mondo in cui viviamo.
Aderire all’Azione Cattolica è acquistare un kit da portare sempre con sé: dentro ci sta una tuta da lavoro da metterti tutti i giorni che vai in chiesa, in parrocchia, al gruppo e la veste battesimale da portare in tutti i luoghi in cui passi la tua vita.
Aderire all’AC è dire di sì a Gesù Cristo che porta la sua croce e aiuta te a portare la tua e quella di tanti altri, senza farsi una faccia da bulldog, ma con la gioia di chi sa che attraverso la croce si arriva dritti alla gioia per se e per tutti.
Aderire all’AC è dire con coraggio e pubblicamente che sei innamorato di Gesù Cristo e te lo fai non solo stampare sulla tua T-shirt o tatuare sulla tua pelle, ma ti fai conformare la tua vita intera a Lui dallo Spirito Santo, aiutato dai tuoi amici.
Aderire all’AC non è solo mandare qualche sms per fare una raccolta di fondi spinto dall’emozione, ma decidere di sostenere tutto quello che serve per aiutare te a crescere e far crescere altri come te nella fede.
Aderire all’AC è dire a tutti che la Chiesa è tua, è tua madre, è la tua famiglia, è la tua casa, è il crocevia necessario per essere cristiani nel mondo.
Aderire all’AC è farsi aiutare a diventare coraggiosi testimoni del vangelo ovunque ti trovi a vivere: a scuola, in ufficio, in famiglia, nel tempo libero, in strada, allo stadio, nei cinema, al supermercato, in palestra, nel cantiere, all’ospedale, nei tuoi progetti e nei tuoi sogni.
Aderire all’AC è fare della propria vita, del proprio gruppo, della propria comunità cristiana una palestra di santità, con tanto di allenamenti, esercizi di fondo, mister, tempi di panchina, confronti decisivi con la vita, sconfitte e rivincite, seguendo esempi bellissimi e “nostrani”.
Aderire all’AC è molto meglio che facebook o Badoo: non ti accontenti di rapporti virtuali, ma con i tuoi amici vivi, preghi, gioisci, lavori, scrivi un mondo di relazioni vere, belle e importanti.
Aderire all’AC è entrare in un tessuto di relazioni che vuoi aprire a tutti i cristiani per toglierli da quella vita da single, che è un controsenso e che non dà lode a Dio e non serve a nessuno, nemmeno a se stessi.
Aderire all’AC è dire a tutti che col papa ci stai, lo ascolti e lo segui senza riserve e lo apprezzi anche al bar, col tuo vescovo sei corresponsabile e il tuo parroco non solo non lo sopporti, ma ti sta a cuore.
Aderire all’AC è farsi un cuore grande e generoso, capace di tendere l’orecchio a ogni chiamata del Signore, anche la più impegnativa e la più radicale. I conventi, le clausure, le canoniche, le missioni le famiglie non ci fanno paura, ma stanno nei nostri sogni.
giovedì 6 dicembre 2012
Giornata del seminario
Sabato 08 Dicembre 2012, giorno in cui celebriamo l'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, nella nostra diocesi ricorre la Giornata del Seminario: pertanto pubblichiamo le parole di S.E. Mons. Domenico Padovano, pubblicate anche sul periodico d'informazione della nostra diocesi ("Impegno"):
L’8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, si celebra nella nostra diocesi la “Giornata del Seminario”. Maria è il capolavoro della creazione. Sarà chiamata ad essere madre dell’Altissimo, tabernacolo del Dio vivente. Ogni battezzato, nella Chiesa, è chiamato a un impegno personale, ad una partecipazione responsabile, ad una risposta generosa. Ogni vocazione è un dono che il Signore fa al singolo, ma per il bene di tutti. Ogni giovane, crescendo, è portato a chiedersi: “Qual è il mio posto nella Chiesa e nel mondo? Qual è il progetto di Dio su di me? Cosa si aspetta Dio che io faccia, che io sia, da grande?”.
Nel momento in cui il giovane si pone tali domande sul senso della vita, deve sentire intorno a sé non una Chiesa assente, distratta, ma una Chiesa amica che aiuta i giovani in ricerca a discernere, ad ascoltarsi, a mettersi in gioco, a rendersi coraggiosamente disponibili nel servizio. Bisogna mettere su iniziative e strutture che aiutino la scoperta del progetto di vita e la costruzione di personalità motivate capaci di concretizzare intuizioni, aspirazioni, ideali, progetti di vita. Tra queste strutture ecco il Seminario, con le tante iniziative che lo affiancano: il gruppo Samuel per i ragazzi, il gruppo Se vuoi per i giovani in ricerca, l’anno zero per i giovani che hanno deciso di entrare nel Seminario Teologico di Molfetta. In molte diocesi del nord, causa una certa fretta e leggerezza, i Seminari Minori sono stati chiusi. Sono calate le vocazioni sacerdotali e si è avvertita la mancanza di un grosso punto di riferimento. Oggi si tenta, con molta fatica, di riaprirli, ma non è facile. Il Seminario Minore è un momento importante della pastorale vocazionale. Serve a coltivare i germogli della chiamata fin dal loro primo sorgere. Il Seminario è la casa in cui i ragazzi che hanno avvertito segnali di chiamata a una vita di speciale consacrazione,vivono, crescono, studiano, pregano, giocano insieme aiutati da sacerdoti esperti di pedagogia dell’età evolutiva, a discernere i segni della chiamata autentica. Se educare è aiutare i giovani ad essere ciò che Dio vuole che siano, è auspicabile dar grande attenzione alla pastorale vocazionale e al Seminario. Mentre ringraziamo il Signore per il dono dei chiamati che sono già in cammino nei nostri Seminari, intensifichiamo la nostra preghiera perché un numero sempre maggiore di giovani, con generosità, accolga il dono della vocazione sacerdotale per mettersi al servizio di Cristo e della Chiesa.
Concludo con un invito pressante ai sacerdoti, ai catechisti, agli educatori tutti, a farsi voce di colui che chiama: Cristo, buon pastore. Affido i nostri Seminari, educatori, seminaristi, animatori vocazionali, alla speciale protezione della vergine Maria, madre dell’educazione.
† Domenico Padovano
L’8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, si celebra nella nostra diocesi la “Giornata del Seminario”. Maria è il capolavoro della creazione. Sarà chiamata ad essere madre dell’Altissimo, tabernacolo del Dio vivente. Ogni battezzato, nella Chiesa, è chiamato a un impegno personale, ad una partecipazione responsabile, ad una risposta generosa. Ogni vocazione è un dono che il Signore fa al singolo, ma per il bene di tutti. Ogni giovane, crescendo, è portato a chiedersi: “Qual è il mio posto nella Chiesa e nel mondo? Qual è il progetto di Dio su di me? Cosa si aspetta Dio che io faccia, che io sia, da grande?”.
Nel momento in cui il giovane si pone tali domande sul senso della vita, deve sentire intorno a sé non una Chiesa assente, distratta, ma una Chiesa amica che aiuta i giovani in ricerca a discernere, ad ascoltarsi, a mettersi in gioco, a rendersi coraggiosamente disponibili nel servizio. Bisogna mettere su iniziative e strutture che aiutino la scoperta del progetto di vita e la costruzione di personalità motivate capaci di concretizzare intuizioni, aspirazioni, ideali, progetti di vita. Tra queste strutture ecco il Seminario, con le tante iniziative che lo affiancano: il gruppo Samuel per i ragazzi, il gruppo Se vuoi per i giovani in ricerca, l’anno zero per i giovani che hanno deciso di entrare nel Seminario Teologico di Molfetta. In molte diocesi del nord, causa una certa fretta e leggerezza, i Seminari Minori sono stati chiusi. Sono calate le vocazioni sacerdotali e si è avvertita la mancanza di un grosso punto di riferimento. Oggi si tenta, con molta fatica, di riaprirli, ma non è facile. Il Seminario Minore è un momento importante della pastorale vocazionale. Serve a coltivare i germogli della chiamata fin dal loro primo sorgere. Il Seminario è la casa in cui i ragazzi che hanno avvertito segnali di chiamata a una vita di speciale consacrazione,vivono, crescono, studiano, pregano, giocano insieme aiutati da sacerdoti esperti di pedagogia dell’età evolutiva, a discernere i segni della chiamata autentica. Se educare è aiutare i giovani ad essere ciò che Dio vuole che siano, è auspicabile dar grande attenzione alla pastorale vocazionale e al Seminario. Mentre ringraziamo il Signore per il dono dei chiamati che sono già in cammino nei nostri Seminari, intensifichiamo la nostra preghiera perché un numero sempre maggiore di giovani, con generosità, accolga il dono della vocazione sacerdotale per mettersi al servizio di Cristo e della Chiesa.
Concludo con un invito pressante ai sacerdoti, ai catechisti, agli educatori tutti, a farsi voce di colui che chiama: Cristo, buon pastore. Affido i nostri Seminari, educatori, seminaristi, animatori vocazionali, alla speciale protezione della vergine Maria, madre dell’educazione.
† Domenico Padovano
venerdì 30 novembre 2012
Iniziative a sostegno della Parrocchia
Continuano le iniziative a sostegno della complessa gestione della nostra Parrocchia che, come noto, ha dovuto subire numerosi lavori di restauro e ristrutturazione, alcuni dei quali improcrastinabili.
Pertanto, anche in questo fine settimana si rinnova l'appuntamento con la terza edizione del Mercatino dell'Avvento, i cui oggetti natalizi possono essere visualizzati nella slideshow in basso: acquistando anche uno solo di questi oggetti si potrà dare un contributo alla causa parrocchiale.
Domenica 09 Dicembre 2012 avrà invece luogo, alle ore 16.30, presso il nostro Salone Parrocchiale, un nuovo torneo di burraco; la quota di iscrizione, che verrà interamente devoluta alla nostra Parrocchia, è di 10 €. Vi aspettiamo numerosi!
Pertanto, anche in questo fine settimana si rinnova l'appuntamento con la terza edizione del Mercatino dell'Avvento, i cui oggetti natalizi possono essere visualizzati nella slideshow in basso: acquistando anche uno solo di questi oggetti si potrà dare un contributo alla causa parrocchiale.
Domenica 09 Dicembre 2012 avrà invece luogo, alle ore 16.30, presso il nostro Salone Parrocchiale, un nuovo torneo di burraco; la quota di iscrizione, che verrà interamente devoluta alla nostra Parrocchia, è di 10 €. Vi aspettiamo numerosi!
domenica 18 novembre 2012
Mercatino dell'Avvento 2012
Con l'inizio del nuovo anno pastorale ritorna il nostro impegno solidale a favore della nostra Parrocchia. Come ben sappiamo, essa è come una casa per tutti noi che la frequentiamo e viviamo attraverso le celebrazioni, i riti festosi e le tappe sacramentali che scandiscono la nostra vita. Ma come ogni casa, anche la Parrocchia necessita lavori di ristrutturazione e restauro che comportano notevoli spese: per questo tutti noi siamo chiamati a dare un prezioso quanto indispensabile contributo.
Un'occasione per poter contribuire alla causa è rappresentata dal Mercatino dell'Avvento, giunto alla sua terza edizione: anche quest'anno verranno riproposti vari oggetti natalizi, tutti rigorosamente realizzati a mano con le tecniche più variegate. Acquistando un oggetto proposto si potrà così contribuire al sostegno della nostra Parrocchia.
Il mercatino avrà luogo il 24-25 Novembre e l'1-2 Dicembre 2012.
Un'occasione per poter contribuire alla causa è rappresentata dal Mercatino dell'Avvento, giunto alla sua terza edizione: anche quest'anno verranno riproposti vari oggetti natalizi, tutti rigorosamente realizzati a mano con le tecniche più variegate. Acquistando un oggetto proposto si potrà così contribuire al sostegno della nostra Parrocchia.
Il mercatino avrà luogo il 24-25 Novembre e l'1-2 Dicembre 2012.
Il Cineforum Parrocchiale presenta "Pirati-briganti da strapazzo"
Primo appuntamento del nuovo anno pastorale con il Cineforum Parrocchiale: lo scorso sabato 17 Novembre 2012, nel salone parrocchiale, ha avuto luogo la proiezione del film d'animazione "Pirati-briganti da strapazzo": un film diretto da Peter Lord in collaborazione con Jeff Newitt, basato sul romanzo di Gideon Defoe The Pirates! In an Adventure with Scientists. La pellicola, prodotta dalla Aardman Animations per la Sony Pictures Animation, è stata girata utilizzando la tecnologia stop-motion ed è stata distribuita anche in 3-D.
Trama semplice, ma allo stesso modo ricca di spunti riflessivi, condita da numerosi momenti di forte comicità: il giusto mix per rendere l'opera di sicuro successo.
Sullo schermo viene raccontata la storia di Capitan Pirata, un pirata maldestro e sfortunato con un sogno nel cassetto: riuscire a conquistare il prestigioso titolo di pirata dell'anno. L'impresa si rivela da subito più complicata del previsto e lungo il suo cammino il nostro capitano si ritrova anche a contatto con un giovane Charles Darwin il quale riconosce in quello che il capitano chiama pappagallo, l'ultimo esemplare di Dodo sulla Terra (che stuzzica l'appetito di un'inedita regina Vittoria e di un'inedita società segreta). Proprio il pappagallo, amato dall'intera ciurma di Capitan Pirata, diventa il "mezzo" per poter riuscire nell'impresa; infatti, il piccolo animale, viene scambiato con una montagna di denaro che consente a Capitan Pirata di mettere le mani sul trofeo, anche se solo per pochi secondi. Le vicissitudini che seguono la breve incoronazione portano il protagonista, abbandonato dalla sua stessa ciurma che non gli perdona il tradimento di Dodo, a riflettere sull'importanza dell'amicizia e su quanto effimero fosse il sogno della sua vita. Dopo mille peripezie la storia termina nel migliore dei modi, con Capitan Pirata che si ricongiunge alla sua ciurma e al suo caro pappagallo.
Trama semplice, ma allo stesso modo ricca di spunti riflessivi, condita da numerosi momenti di forte comicità: il giusto mix per rendere l'opera di sicuro successo.
Sullo schermo viene raccontata la storia di Capitan Pirata, un pirata maldestro e sfortunato con un sogno nel cassetto: riuscire a conquistare il prestigioso titolo di pirata dell'anno. L'impresa si rivela da subito più complicata del previsto e lungo il suo cammino il nostro capitano si ritrova anche a contatto con un giovane Charles Darwin il quale riconosce in quello che il capitano chiama pappagallo, l'ultimo esemplare di Dodo sulla Terra (che stuzzica l'appetito di un'inedita regina Vittoria e di un'inedita società segreta). Proprio il pappagallo, amato dall'intera ciurma di Capitan Pirata, diventa il "mezzo" per poter riuscire nell'impresa; infatti, il piccolo animale, viene scambiato con una montagna di denaro che consente a Capitan Pirata di mettere le mani sul trofeo, anche se solo per pochi secondi. Le vicissitudini che seguono la breve incoronazione portano il protagonista, abbandonato dalla sua stessa ciurma che non gli perdona il tradimento di Dodo, a riflettere sull'importanza dell'amicizia e su quanto effimero fosse il sogno della sua vita. Dopo mille peripezie la storia termina nel migliore dei modi, con Capitan Pirata che si ricongiunge alla sua ciurma e al suo caro pappagallo.
La pellicola, scelta con l'intento di raggiungere i ragazzi di ogni età, ha visto una buona partecipazione ed ha dato l'input per un momento di discussione e di coinvolgimento dei presenti sul tema dell'amicizia: infatti, l'amicizia, nella vita dell'uomo, è un valore imprescindibile, insostituibile e che dura per sempre, al contrario della gloria e dei titoli che sono solo momentanei e spesso calamita di persone false ed ipocrite. Il messaggio finale che si è tentato di lanciare è che non bisogna mai svendere l'amicizia per ottenere in cambio un qualsiasi vantaggio o popolarità perché i veri amici sono quelli che ci sostengono, che ci confortano e che ci aiutano nel nostro cammino di vita: nulla può compensare la mancanza dell'amicizia.
martedì 13 novembre 2012
domenica 11 novembre 2012
Giornata nazionale del Ringraziamento
Oggi la Chiesa Cattolica celebra in Italia la Giornata nazionale del Ringraziamento, una celebrazione che verrà vissuta anche nella nostra Parrocchia. [La giornata nazionale del Ringraziamento] è una festa che viene da lontano ed ha le sue origini in Italia nel lontano 1951 per iniziativa della Coldiretti. Da allora puntualmente viene celebrata la seconda domenica di novembre e a livello locale viene riproposta nel periodo che va dalla festa di San Martino (11 novembre) alla festa di Sant’Antonio Abate (17 gennaio).
Messaggio
per la 62ª Giornata nazionale del Ringraziamento
11
novembre 2012
Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la
terra
«Confida nel
Signore e fa’ il bene: abiterai la terra» (Sal 37,3). Questo bel versetto descrive efficacemente il cuore di tutti noi nella tradizionale
Giornata del Ringraziamento rurale, che celebriamo agli inizi dell’Anno della Fede,
tempo di grazia e di benedizione, indetto da Benedetto XVI. Le parole del salmo
sono l’espressione di uno stile di vita radicato nella fede, con il quale
desideriamo ringraziare il Signore per ogni dono che compie nelle nostre
campagne e per il lavoro dei nostri agricoltori.
La fede e il mondo agricolo
È l’Anno
della Fede, da cogliere nei gesti stessi del lavoro dei campi. Che cosa sono
infatti le mani dell’agricoltore, aperte a seminare con larghezza, se non mani
di fede? Non è forse la fede nella gioia di un raccolto abbondante, solo intravisto,
a guidare le sue mani nella necessaria potatura, dolorosa ma vitale? E quando il
corpo si piega per la fatica, che cosa lo sorregge e ne asciuga il sudore se
non questa visione di fede, che allarga gli orizzonti e apre il cuore?
Ecco perché in
questa festa, occasione attesa per benedire il Signore per i frutti della
terra, diciamo il nostro grazie a tutti coloro che operano tra i campi e i
filari, che credono nel futuro investendo, anche con grande rischio, i loro
sacrifici per il bene della famiglia e della società tutta. Non ci stancheremo
mai di far sentire come importante questa Giornata del Ringraziamento, memori
dell’esortazione di papa Benedetto XVI a «fare spazio
al principio di gratuità come
espressione di fraternità» (Caritas in
veritate, n. 34).
Nella fede riconosciamo
la mano creatrice e provvidenziale di Dio che nutre i suoi figli. Ciò appare in
modo speciale a quanti sono immersi nella bellezza e nell’operosità del lavoro
rurale. Guai se dimenticassimo la relazione d’amore e di alleanza che Dio ha
intrecciato con noi e che diventa vivissima davanti ai frutti della terra, per
i quali rendiamo grazie secondo il comandamento biblico: «Il Signore, tuo Dio,
sta per farti entrare in una buona terra: terra di torrenti, di fonti e di
acque sotterranee, che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; terra
di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio
e di miele; terra dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti
mancherà nulla; terra dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il
rame. Mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio, a causa della
buona terra che ti avrà dato» (Dt
8,6-10).
La valenza educativa del ringraziare,
guardando ai giovani
La valenza
educativa propria della Giornata del Ringraziamento ha una ricaduta importante nell’attuale
società, in cui l’appiattimento sul presente rischia di cancellare la memoria
per i doni ricevuti. Pensiamo in particolare ai giovani, che in tanti stanno
riscoprendo il lavoro agricolo: nel ritorno alla terra possono aprirsi nuove
prospettive per loro e insieme un modo nuovo di costruire il futuro di tutti noi.
Un grazie particolare
va alle Cooperative agricole che ridanno vita a terreni abbandonati, in non
pochi casi togliendoli alla malavita organizzata, con una forte ricaduta
educativa per tutto il territorio dove si trovano a operare. Infatti, la
bellezza di una terra riscattata, che da deserto diventa giardino, parla da sé:
non solo cambia il paesaggio, ma soprattutto rincuora l’animo di tutti. Una
terra coltivata è una terra amata, sposata, come narra il profeta Isaia, nel
celebre capitolo 62. Ce lo ricorda soprattutto il “Progetto Policoro”, la cui
opera benemerita non cessiamo di indicare in chiave esemplare a tutte le
comunità. Anche nelle regioni del Nord questa esperienza si sta rivelando
feconda, ed è bello vedere tanti ragazzi del Sud, che da tempo vivono in condizioni
difficili, farsi in un certo senso maestri di itinerari concreti di speranza e
di sviluppo.
Certo, i
giovani hanno bisogno di adulti che si schierano dalla loro parte, che
investono per loro e con loro, offrendo garanzia per il futuro. Gli
orientamenti pastorali Educare alla vita
buona del Vangelo ci invitano a riscoprire un verbo molto importante:
accompagnare i giovani.
La nota
pastorale “Frutto della terra e del
lavoro dell’uomo”. Mondo rurale che cambia e Chiesa in Italia, del 19 marzo 2005, indicava alcune modalità
concrete (cfr. n. 24) che intendiamo riproporre:
- diffondere
una azione educativa e culturale che valorizzi la dignità di chi sceglie di
rimanere a lavorare in campagna;
- garantire
ai piccoli comuni le condizioni necessarie per una dignitosa qualità della
vita, con servizi adeguati e opportunità di scambio;
- favorire
nuove politiche per l’accesso dei giovani al mercato fondiario e degli affitti,
strumenti fiscali adeguati, incentivi per mettere a disposizione le terre, sostegno
nella fase iniziale dell’attività aziendale, azionariato popolare diffuso;
- rendere
facile l’accesso al credito agevolato per i giovani agricoltori.
Mentre vediamo
crescere la presenza confortante dei giovani nell’agricoltura, non possiamo tacere
il nostro dolore davanti alle immagini che mostrano molti braccianti agricoli,
in gran parte immigrati, lavorare in condizioni davvero inique. Che dire, ad
esempio, delle baracche dove spesso sono accolti? Ancora assistiamo a casi in
cui la dignità del lavoratore è smarrita, per le condizioni di avvilente
sfruttamento in cui versa, come attesta anche il perdurante dramma del
caporalato. Già molte volte le Chiese locali hanno fatto sentire la loro voce
contro le ingiustizie. Invitiamo le nostre comunità a un’ulteriore vigilanza
per favorire la difesa della giustizia e della legalità nel settore agricolo.
La priorità dell’economia rurale per
ritornare al territorio
Di fronte alla
grave crisi che tocca il mondo economico e industriale, occorre guardare al
futuro del nostro Paese andando oltre schemi abituali. È importante guardare al
nostro futuro nel rispetto e nella valorizzazione delle tipicità dei diversi
territori che la bella storia d’Italia ha posto nelle nostre mani e che
costituiscono l’unico Paese. Se è vero che investire «è sempre una scelta morale e culturale», come
scriveva Giovanni Paolo II
nella Centesimus annus al n. 36, è
necessario legare tali investimenti alla cura dell’uomo e del territorio, così
da rendere quest’ultimo fecondo di beni, sostenibile per l’ecosistema,
rispettato e amato, arricchito di forza per le nuove e per le future
generazioni.
Investire nell’agricoltura
è una scelta non solo economica, ma anche culturale, ecologica, sociale,
politica di forte valenza educativa. Infatti «le modalità con cui l’uomo tratta l'ambiente
influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il
suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al
consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano» (Caritas in veritate, n. 51).
Chiudiamo il nostro
appello al mondo rurale e agricolo con le belle parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa che, nell’ottica
dell’Anno della Fede, ci invitano a cogliere il passaggio di Dio nella fatica e
nella bellezza del lavoro dei campi: se «si arriva a riscoprire la natura nella
sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo,
cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così
nell’orizzonte del mistero, che apre
all’uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si
offre allo sguardo dell’uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice,
provvidente e redentrice» (n. 487).
Ci aiuti San
Martino, il cui gesto di condivisione del mantello è simbolo di ogni dono
perfetto che viene dall’alto e che ci rende solidali.
E ci
accompagni il cuore
di Maria di Nazareth, che custodisce e medita nella sua storia ogni frammento
di esistenza, per elevare un inno di benedizione, un perenne “Magnificat” che canti
come il nostro Dio faccia emergere i piccoli e i deboli, precipitando i potenti
dai loro troni.
Roma, 4 ottobre
2012
Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia
La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia
e la pace
giovedì 1 novembre 2012
Festa di tutti i Santi
Oggi la Chiesa Cattolica celebra la figura di tutti i Santi, ovvero uomini e donne che hanno reso la loro vita testimonianza vivente dell'amore del Padre verso i figli. Sant’Agostino, mosso da santa invidia ripeteva spesso: “Se tanti e tante perché non io?”: questa è la domanda che dovrebbe ispirare tutti noi cristiani, poichè la santità non è una meta per pochi privilegiati, ma il nostro più grande anelito.
Nel porgere gli auguri di buona festa a tutti i visitatori (ricordando le celebrazioni liturgiche presso la nostra Parrocchia alle ore 09.30, 11.00 e 18.30), si invita alla riflessione attraverso le parole di un Santo di Dio, San Bernardo:
Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomaparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere. (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
Nel porgere gli auguri di buona festa a tutti i visitatori (ricordando le celebrazioni liturgiche presso la nostra Parrocchia alle ore 09.30, 11.00 e 18.30), si invita alla riflessione attraverso le parole di un Santo di Dio, San Bernardo:
Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomaparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere. (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
sabato 27 ottobre 2012
Mele della pace 2012
In questo week-end e il prossimo 3-4 Novembre, nelle piazze della
tua città (e presso la nostra Parrocchia Santa Maria del Carmine) il
Movimento Shalom promuove una campagna di raccolta fondi per il progetto La
casa della Pace in Uganda che prevede la realizzazione di un ostello, un
panificio, un centro per la promozione del Microcredito per le donne e
una scuola di educazione alla pace e ai diritti umani. Per contribuire alla causa è sufficiente l'acquisto di un sacchetto di mele al costo simbolico di 5 €.
lunedì 22 ottobre 2012
Nuovo Convegno diocesano
Venerdì 26 ottobre 2012, alle ore 19.30,
presso la sala di Porto Giardino (Monopoli) si terrà il convegno
pastorale sul tema: ''Adulti
educatori nei contesti di vita: famiglia, parrocchia, scuola''. Interverrà il teologo Luciano Meddi, docente presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma ed offrirà una riflessione sul tema oggetto del convegno. Verrà inoltre
presentata la nota pastorale della Conferenza Episcopale Pugliese
''Cristiani nel mondo, testimoni di speranza''.
giovedì 11 ottobre 2012
Il Papa apre l'Anno della Fede
Questa mattina, nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, Papa Benedetto XVI ha ufficialmente aperto l'Anno della Fede, un anno dedicato alla riflessione sulla fede in un momento storico difficile che si dirige sempre più verso una desertificazione spirituale ed una secolarizzazione che rende ardua la testimonianza dei valori cristiani:
cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67.
Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio.
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.
Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.
Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.
© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana
SANTA MESSA PER L'APERTURA DELL'ANNO DELLA FEDE
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza San Pietro
Giovedì, 11 ottobre 2012
Venerati Fratelli, OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza San Pietro
Giovedì, 11 ottobre 2012
cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all’Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
L’Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull’ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell’evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E’ un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E’ Dio il principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67.
Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio.
Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.
Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.
Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono.
Venerati e cari Fratelli, l’11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l’Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17). Amen.
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giovedì 4 ottobre 2012
San Francesco d'Assisi
Oggi la Chiesa Cattolica celebra la figura del Patrono della nostra cara Italia il cui nome è sinonimo di fervente amore per Cristo e per i suoi piccoli: San Francesco d'Assisi. Egli, ancora oggi, non smette di stupire l'animo umano, di sconvolgerlo con pesanti interrogativi sulla propria fede e sul percorso intrapreso alla sequela di Gesù.
L'invito a riflettere è a tutti noi rivolto e la testimonianza della sua conversione possa spingerci a comprendere la forza dell'amore di Cristo che ci chiama a seguirLo:
"Un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i reietti, gli ammalati, gli emarginati colpì Francesco, un uomo fino ad allora ricco: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo.
Nel 1204-1205 provò a partire per la quarta crociata: si trattava di raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere ad una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi, ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»; alla risposta: «Il padrone», la voce rispose: « Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo? »
Dopo questo sogno, Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare. Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Anche il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che « ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo »
(dal Testamento di san Francesco, 1226)
Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero ancora più frequenti: Francesco fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendette anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse quella chiesina. Pietro di Bernardone diventò furente; molti ad Assisi furono solidali con quel padre che vedeva tradite le proprie aspettative: Francesco nella sua eccessiva generosità poteva essere interpretato come uno che dava sintomi di squilibrio mentale e così sicuramente lo intese il padre.
Il padre cercò, all'inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua incapacità di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio, decise di denunciarlo ai consoli per vietarlo e privarlo, non tanto per il danno poco costoso subito, quanto piuttosto con la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò ad un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, all'aperto, sulla piazza di Santa Maria Maggiore, davanti al palazzo del vescovo; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre finì di parlare, « non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza". »
Francesco diede così inizio ad un nuovo percorso di vita. Il vescovo Guido lo coprì pudicamente agli sguardi della folla (pur non comprendendo a pieno quel gesto plateale). Con quest'atto di manifesta protezione si volle leggere l'accoglienza di Francesco nella Chiesa."
L'invito a riflettere è a tutti noi rivolto e la testimonianza della sua conversione possa spingerci a comprendere la forza dell'amore di Cristo che ci chiama a seguirLo:
"Un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i reietti, gli ammalati, gli emarginati colpì Francesco, un uomo fino ad allora ricco: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso il prossimo.
Nel 1204-1205 provò a partire per la quarta crociata: si trattava di raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere ad una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi, ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»; alla risposta: «Il padrone», la voce rispose: « Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo? »
Dopo questo sogno, Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare. Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Anche il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che « ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo »
(dal Testamento di san Francesco, 1226)
Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero ancora più frequenti: Francesco fece incetta di stoffe nel negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendette anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse quella chiesina. Pietro di Bernardone diventò furente; molti ad Assisi furono solidali con quel padre che vedeva tradite le proprie aspettative: Francesco nella sua eccessiva generosità poteva essere interpretato come uno che dava sintomi di squilibrio mentale e così sicuramente lo intese il padre.
Il padre cercò, all'inizio, di allontanare Francesco per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua incapacità di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio, decise di denunciarlo ai consoli per vietarlo e privarlo, non tanto per il danno poco costoso subito, quanto piuttosto con la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò ad un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, all'aperto, sulla piazza di Santa Maria Maggiore, davanti al palazzo del vescovo; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre finì di parlare, « non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza". »
Francesco diede così inizio ad un nuovo percorso di vita. Il vescovo Guido lo coprì pudicamente agli sguardi della folla (pur non comprendendo a pieno quel gesto plateale). Con quest'atto di manifesta protezione si volle leggere l'accoglienza di Francesco nella Chiesa."
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