Il 17-18-19 Luglio ha avuto luogo un camposcuola parrocchiale che ha visto protagonisti i giovanissimi della nostra Parrocchia. Immersi nella tranquillità e nel verde dell'eremo di Sant'Antonio abate, i ragazzi, nell’arco delle giornate trascorse insieme, hanno avuto la possibilità di vivere attimi e momenti contraddistinti da forti emozioni: momenti di preghiera, di fraternità, di gioco e di formazione, legati al tema del CampoScuola "La Vita buona del Vangelo".
Indimenticabile è stato l'incontro con gli educatori e gli ospiti del Centro Arcobaleno di Monopoli che hanno condiviso con i nostri ragazzi un momento di preghiera intenso, cena e sano divertimento. Infatti, la serata che ha visto la partecipazione di don Oronzo e don Leo, è trascorsa in un clima di gioia e fraternità che ha suscitato il desiderio di un successivo incontro che ha avuto luogo in occasione della festa del volontariato presso il Castello di Monopoli (Giovedì 23 Luglio ndr).
Tante sono state le opportunità di riflessione con gli interventi di don Michele Petruzzi (Direttore della Caritas diocesana) sul senso stesso della carità evangelica e sul ruolo della Caritas sul nostro territorio; di don Stefano Mazzarisi (responsabile diocesano della pastorale giovanile) che ha animato una breve via Crucis lungo il sentiero suggestivo alle spalle dell'eremo; del parroco don Oronzo che ha chiuso l'esperienza del camposcuola attraverso la celebrazione eucaristica che ha visto la partecipazione dei genitori dei ragazzi.
L'aspetto che sia gli educatori che i ragazzi hanno voluto sottolineare maggiormente è stato l'avvertire un profondo contatto con Gesù, in particolare nei momenti di preghiera. La Sua Presenza costante ha accompagnato questi tre giorni ed ha alimentato in tutti il desiderio di proseguire il cammino alla sequela del Vangelo, accompagnati dalla vicinanza dell'intera comunità parrocchiale.
sabato 25 luglio 2015
venerdì 24 luglio 2015
Festa S.Maria del Carmine: le foto
L'album fotografico relativo alla festa della nostra Parrocchia (16 Luglio 2015):
Posted by Chiesa Santa Maria del Carmine - Monopoli (Bari) on Venerdì 24 luglio 2015
Chiesa, luogo della consolazione
«Se un tuo fratello non ti ascolta, ammoniscilo fra te e lu i solo... ma se non ti ascolterà dillo alla comunità» (Mt 18,15-20).
Bisogna leggere più che attentamente questo brano dell’evangelista Matteo perché non è facile e tanto meno sbrigativo: per esempio in quel «Sia per te come il pagano e il pubblicano », non vedi tutto lo spirito missionario della vocazione cristiana?
La comunità è il luogo privilegiato della carità: qui ho la verifica se so amare, qui imparo l’amore, non poteva essere che comunitaria la proposta di vita divina agli uomini. Ma come costruire questa benedetta comunità d’amore? Come ripetere la vita trinitaria di Dio in noi? Come sempre, unica e sola risposta: Gesù, è figura del Padre, Gesù è il modello della vita di amore tra gli uomini. Però tutto questo dipende da «chi è per noi Gesù»: secondo l’esperienza che abbiamo del Figlio dell’uomo, saremo portati a realizzare nello stesso modo la nostra esperienza comunitaria, cioè la Chiesa o qualsiasi comunità cristiana, famiglia compresa. Direi soprattutto la famiglia. Spesso, come molti, pensiamo a Gesù come a Giovanni Battista e così vorremmo che la nostra comu nità , la nostra Chiesa, fosse inflessibile nel rimprovero, spietata davanti al peccato; comunità di fedeltà, della condanna; una comunità eccezionale, che si impone con la sua grandezza; comunità che sa vivere nel deserto, nel digiuno, che non permette di mangiare a tavola con i peccatori. Oppure pensiamo a Gesù e perciò alla Chiesa come Elia: desideriamo la Chiesa come luogo di strepitosi miracoli, comunità che fa scendere il fuoco dal cielo per incenerire i nemici di Dio, comunità che tratta i discepoli come sudditi e perciò pretenziosa di obbedienza cieca e senza commenti; comunità insomma di sfide e di vendette. O pensiamo alla Chiesa come nuovo Geremia: comunità di lagnosi, comunità di lamentele che, con la propria vita e la propria morte, preannuncia sventure. O anche pensiamo la comunità come l’immagine che abbiamo di Gesù, come a un profeta; il gruppo cioè di uomini che sanno tutto, che predicono il futuro: gli uomini che rappresentano Dio in situazioni difficili, che richiamano al comportamento morale e alla legge.
Invece Gesù, e quindi la comunità che vuole ripeterlo, non è nulla di tutto questo: è una comunità che annuncia il Padre, che rende tangibile l’amore di Dio. È una comunità che come Gesù, deve innanzi tutto essere figlia d i Dio: non una organizzazione, ma una persona che cammina, che rischia, che trasforma, che parla. Come Gesù, la comunità di amore dei suoi discepoli non è formata da persone eccezionali, ma da persone normali, che si confondono nella massa, che neppure vengono riconosciute; uomini poveri che sentono il bisogno di Dio e dei loro fratelli. Come Gesù, la Chiesa non può accettare di vincere i suoi nemici, ma li ama , dà loro quanto loro richiedono: non butta i suoi trionfi in faccia ai nemici per umiliarli, ma li presenta ai soli amici per confermarli. Come Gesù, la comunità di amore dei suoi discepoli non deve spegnere il lucignolo fumigante, ma incoraggiare ogni più piccola luce, ogni debole chiarore, non si deve imporre mai con la violenza, ma deve proporsi sempre con l’amore.
La Chiesa, ad imitazione di Gesù, dovrà ripetere il suo atteggiamento verso i peccatori, mai di condanna, ma di perdono: che domanda la verità, ma la pone sulla strada, perché l’uomo, senza sentirsi offeso, la raccolga; che sa vivere con pazienza accanto a ognuno di noi, che sa parlare dei fatti minimi e degli ultimi della nostra vita e porre in essi la interpretazione della parola di Dio. E ancora, come Gesù, dovrà rimanere a cena con me, spezzare il pane per riconoscere il Signore e poi sapersi anche n a s c o n d e r e , per non offuscare l’incontro personale che l’animo realizza con il suo Dio.
Dovrà, come Gesù, fermarsi con i bambini, con i poveri: dovrà vivere in semplicità fra i peccatori, se necessario rompere schemi e convenienze sociali pur di vivere insieme a ogni persona, pur di vivere in amicizia con tutti.
La comunità dei credenti dovrà rispettare tutti, avere occhi di meraviglia su ogni cosa, perché
tutto le deve parlare del mistero del Padre. Solo a questa comunità, solo a questa Chiesa, è detta la parola del Signore: «Là infatti dove si trovano due o tre nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro» (v. 20). Sto balbettando… Papa Francesco insegna e attrae, sia benedetto!
fratel Gian Carlo jc
Bisogna leggere più che attentamente questo brano dell’evangelista Matteo perché non è facile e tanto meno sbrigativo: per esempio in quel «Sia per te come il pagano e il pubblicano », non vedi tutto lo spirito missionario della vocazione cristiana?
La comunità è il luogo privilegiato della carità: qui ho la verifica se so amare, qui imparo l’amore, non poteva essere che comunitaria la proposta di vita divina agli uomini. Ma come costruire questa benedetta comunità d’amore? Come ripetere la vita trinitaria di Dio in noi? Come sempre, unica e sola risposta: Gesù, è figura del Padre, Gesù è il modello della vita di amore tra gli uomini. Però tutto questo dipende da «chi è per noi Gesù»: secondo l’esperienza che abbiamo del Figlio dell’uomo, saremo portati a realizzare nello stesso modo la nostra esperienza comunitaria, cioè la Chiesa o qualsiasi comunità cristiana, famiglia compresa. Direi soprattutto la famiglia. Spesso, come molti, pensiamo a Gesù come a Giovanni Battista e così vorremmo che la nostra comu nità , la nostra Chiesa, fosse inflessibile nel rimprovero, spietata davanti al peccato; comunità di fedeltà, della condanna; una comunità eccezionale, che si impone con la sua grandezza; comunità che sa vivere nel deserto, nel digiuno, che non permette di mangiare a tavola con i peccatori. Oppure pensiamo a Gesù e perciò alla Chiesa come Elia: desideriamo la Chiesa come luogo di strepitosi miracoli, comunità che fa scendere il fuoco dal cielo per incenerire i nemici di Dio, comunità che tratta i discepoli come sudditi e perciò pretenziosa di obbedienza cieca e senza commenti; comunità insomma di sfide e di vendette. O pensiamo alla Chiesa come nuovo Geremia: comunità di lagnosi, comunità di lamentele che, con la propria vita e la propria morte, preannuncia sventure. O anche pensiamo la comunità come l’immagine che abbiamo di Gesù, come a un profeta; il gruppo cioè di uomini che sanno tutto, che predicono il futuro: gli uomini che rappresentano Dio in situazioni difficili, che richiamano al comportamento morale e alla legge.
Invece Gesù, e quindi la comunità che vuole ripeterlo, non è nulla di tutto questo: è una comunità che annuncia il Padre, che rende tangibile l’amore di Dio. È una comunità che come Gesù, deve innanzi tutto essere figlia d i Dio: non una organizzazione, ma una persona che cammina, che rischia, che trasforma, che parla. Come Gesù, la comunità di amore dei suoi discepoli non è formata da persone eccezionali, ma da persone normali, che si confondono nella massa, che neppure vengono riconosciute; uomini poveri che sentono il bisogno di Dio e dei loro fratelli. Come Gesù, la Chiesa non può accettare di vincere i suoi nemici, ma li ama , dà loro quanto loro richiedono: non butta i suoi trionfi in faccia ai nemici per umiliarli, ma li presenta ai soli amici per confermarli. Come Gesù, la comunità di amore dei suoi discepoli non deve spegnere il lucignolo fumigante, ma incoraggiare ogni più piccola luce, ogni debole chiarore, non si deve imporre mai con la violenza, ma deve proporsi sempre con l’amore.
La Chiesa, ad imitazione di Gesù, dovrà ripetere il suo atteggiamento verso i peccatori, mai di condanna, ma di perdono: che domanda la verità, ma la pone sulla strada, perché l’uomo, senza sentirsi offeso, la raccolga; che sa vivere con pazienza accanto a ognuno di noi, che sa parlare dei fatti minimi e degli ultimi della nostra vita e porre in essi la interpretazione della parola di Dio. E ancora, come Gesù, dovrà rimanere a cena con me, spezzare il pane per riconoscere il Signore e poi sapersi anche n a s c o n d e r e , per non offuscare l’incontro personale che l’animo realizza con il suo Dio.
Dovrà, come Gesù, fermarsi con i bambini, con i poveri: dovrà vivere in semplicità fra i peccatori, se necessario rompere schemi e convenienze sociali pur di vivere insieme a ogni persona, pur di vivere in amicizia con tutti.
La comunità dei credenti dovrà rispettare tutti, avere occhi di meraviglia su ogni cosa, perché
tutto le deve parlare del mistero del Padre. Solo a questa comunità, solo a questa Chiesa, è detta la parola del Signore: «Là infatti dove si trovano due o tre nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro» (v. 20). Sto balbettando… Papa Francesco insegna e attrae, sia benedetto!
fratel Gian Carlo jc
giovedì 16 luglio 2015
La Beata Vergine Maria del Monte Carmelo
Oggi la nostra Parrocchia è in festa perché la Chiesa Cattolica celebra la Beata Vergine Maria del Monte Carmelo! Riscopriamo la storia di questa devozione che ci contraddistingue:
La devozione spontanea alla Vergine Maria, sempre diffusa nella cristianità sin dai primi tempi apostolici, è stata man mano nei secoli, diciamo ufficializzata sotto tantissimi titoli, legati alle sue virtù (vedasi le Litanie Lauretane), ai luoghi dove sono sorti Santuari e Chiese che ormai sono innumerevoli, alle apparizioni della stessa Vergine in vari luoghi lungo i secoli, al culto instaurato e diffuso da Ordini Religiosi e Confraternite, fino ad arrivare ai dogmi promulgati dalla Chiesa.
Maria racchiude in sé tante di quelle virtù e titoli, nei secoli approfonditi nelle Chiese di Oriente ed Occidente con Concili famosi e studi specifici, tanto da far sorgere una terminologia ed una scienza “Mariologica”, e che oltre i grandi cantori di Maria nell’ambito della Chiesa, ha ispirato elevata poesia anche nei laici, cito per tutti il sommo Dante che nella sua “preghiera di s. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII canto del Paradiso della ‘Divina Commedia’, esprime poeticamente i più alti concetti dell’esistenza di Maria, concepita da Dio nel disegno della salvezza dell’umanità, sin dall’inizio del mondo.
“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura……”
Ma il culto mariano affonda le sue radici, unico caso dell’umanità, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.) dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità.
In quella nube piccola “come una mano d’uomo” tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.
La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia.
Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la ‘Stella Polare, la Stella Maris’ del popolo cristiano. E sul Carmelo che è una catena montuosa che si estende dal golfo di Haifa sul Mediterraneo, fino alla pianura di Esdrelon, richiamato più volte nella Sacra Scrittura per la sua vegetazione, bellezza e fecondità, continuarono a vivere gli eremiti, finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme s. Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254, diffondendo il culto di Colei che: “le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2).
Il 16 luglio del 1251 la Vergine circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell’Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine, per vivere sotto la sua protezione ed è infine un’alleanza e una comunione tra Maria ed i fedeli.
Papa Pio XII affermò che “chi lo indossa viene associato in modo più o meno stretto, all’Ordine Carmelitano”, aggiungendo “quante anime buone hanno dovuto, anche in circostanze umanamente disperate, la loro suprema conversione e la loro salvezza eterna allo Scapolare che indossavano! Quanti, inoltre, nei pericoli del corpo e dell’anima, hanno sentito, grazie ad esso, la protezione materna di Maria! La devozione allo Scapolare ha fatto riversare su tutto il mondo, fiumi di grazie spirituali e temporali”.
Altri papi ne hanno approvato e raccomandato il culto, lo stesso beato Giovanni XXIII lo indossava, esso consiste di due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella, che si appoggia sulle scapole e sui due pezzi vi è l’immagine della Madonna.
Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216), i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256), i Mercedari (1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.
L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina, dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa, conoscendo nel sec. XVI l’opera riformatrice dei due grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per cui oggi i Carmelitani si distinguono in due Famiglie: “scalzi” o “teresiani” (frutto della riforma dei due santi) e quelli senza aggettivi o “dell’antica osservanza”.
Nell’Ordine Carmelitano sono fiorite figure eccezionali di santità, misticismo, spiritualità claustrale e di martirio; ne ricordiamo alcuni: S. Teresa d’Avila (1582) Dottore della Chiesa; S. Giovanni della Croce (1591) Dottore della Chiesa; Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1607); S. Teresa del Bambino Gesù (1897), Dottore della Chiesa; beato Simone Stock (1265); S. Angelo martire in Sicilia (1225); Beata Elisabetta della Trinità Catez (1906); S. Raffaele Kalinowski (1907); Beato Tito Brandsma (1942); S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1942); suor Lucia, la veggente di Fatima, ecc.
Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto, essa per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae, dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate.
Particolarmente a Napoli è venerata come S. Maria La Bruna, perché la sua icona, veneratissima specie dagli uomini nel Santuario del Carmine Maggiore, tanto legato alle vicende seicentesche di Masaniello, cresciuto alla sua ombra, è di colore scuro e forse è la più antica immagine conosciuta come ‘Madonna del Carmine’.
Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Ella è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo ‘scapolare’ (tutto porta a Gesù), e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità).
La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui nel 1251, apparve al beato Simone Stock, porgendogli l’ “abitino”.
Autore: Antonio Borrelli
La devozione spontanea alla Vergine Maria, sempre diffusa nella cristianità sin dai primi tempi apostolici, è stata man mano nei secoli, diciamo ufficializzata sotto tantissimi titoli, legati alle sue virtù (vedasi le Litanie Lauretane), ai luoghi dove sono sorti Santuari e Chiese che ormai sono innumerevoli, alle apparizioni della stessa Vergine in vari luoghi lungo i secoli, al culto instaurato e diffuso da Ordini Religiosi e Confraternite, fino ad arrivare ai dogmi promulgati dalla Chiesa.
Maria racchiude in sé tante di quelle virtù e titoli, nei secoli approfonditi nelle Chiese di Oriente ed Occidente con Concili famosi e studi specifici, tanto da far sorgere una terminologia ed una scienza “Mariologica”, e che oltre i grandi cantori di Maria nell’ambito della Chiesa, ha ispirato elevata poesia anche nei laici, cito per tutti il sommo Dante che nella sua “preghiera di s. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII canto del Paradiso della ‘Divina Commedia’, esprime poeticamente i più alti concetti dell’esistenza di Maria, concepita da Dio nel disegno della salvezza dell’umanità, sin dall’inizio del mondo.
“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura……”
Ma il culto mariano affonda le sue radici, unico caso dell’umanità, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.) dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità.
In quella nube piccola “come una mano d’uomo” tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.
La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia.
Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la ‘Stella Polare, la Stella Maris’ del popolo cristiano. E sul Carmelo che è una catena montuosa che si estende dal golfo di Haifa sul Mediterraneo, fino alla pianura di Esdrelon, richiamato più volte nella Sacra Scrittura per la sua vegetazione, bellezza e fecondità, continuarono a vivere gli eremiti, finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme s. Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254, diffondendo il culto di Colei che: “le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2).
Il 16 luglio del 1251 la Vergine circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell’Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine, per vivere sotto la sua protezione ed è infine un’alleanza e una comunione tra Maria ed i fedeli.
Papa Pio XII affermò che “chi lo indossa viene associato in modo più o meno stretto, all’Ordine Carmelitano”, aggiungendo “quante anime buone hanno dovuto, anche in circostanze umanamente disperate, la loro suprema conversione e la loro salvezza eterna allo Scapolare che indossavano! Quanti, inoltre, nei pericoli del corpo e dell’anima, hanno sentito, grazie ad esso, la protezione materna di Maria! La devozione allo Scapolare ha fatto riversare su tutto il mondo, fiumi di grazie spirituali e temporali”.
Altri papi ne hanno approvato e raccomandato il culto, lo stesso beato Giovanni XXIII lo indossava, esso consiste di due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella, che si appoggia sulle scapole e sui due pezzi vi è l’immagine della Madonna.
Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216), i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256), i Mercedari (1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.
L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina, dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa, conoscendo nel sec. XVI l’opera riformatrice dei due grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per cui oggi i Carmelitani si distinguono in due Famiglie: “scalzi” o “teresiani” (frutto della riforma dei due santi) e quelli senza aggettivi o “dell’antica osservanza”.
Nell’Ordine Carmelitano sono fiorite figure eccezionali di santità, misticismo, spiritualità claustrale e di martirio; ne ricordiamo alcuni: S. Teresa d’Avila (1582) Dottore della Chiesa; S. Giovanni della Croce (1591) Dottore della Chiesa; Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1607); S. Teresa del Bambino Gesù (1897), Dottore della Chiesa; beato Simone Stock (1265); S. Angelo martire in Sicilia (1225); Beata Elisabetta della Trinità Catez (1906); S. Raffaele Kalinowski (1907); Beato Tito Brandsma (1942); S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1942); suor Lucia, la veggente di Fatima, ecc.
Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto, essa per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae, dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate.
Particolarmente a Napoli è venerata come S. Maria La Bruna, perché la sua icona, veneratissima specie dagli uomini nel Santuario del Carmine Maggiore, tanto legato alle vicende seicentesche di Masaniello, cresciuto alla sua ombra, è di colore scuro e forse è la più antica immagine conosciuta come ‘Madonna del Carmine’.
Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Ella è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo ‘scapolare’ (tutto porta a Gesù), e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità).
La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui nel 1251, apparve al beato Simone Stock, porgendogli l’ “abitino”.
Autore: Antonio Borrelli
venerdì 3 luglio 2015
Festa S.Maria del Carmine
Si avvicina la Festa di S.Maria del Carmine: Durante la novena la
Comunità si ritroverà a pregare l’8 luglio con gli anziani presso la
Casa di Riposo Romanelli: ore 19.00 S. Rosario e ore 19.30 S. Messa; il 9
luglio presso la Chiesa di S. Lucia: ore 18.30 S. Rosario e ore 19.00
S. Messa; il 10 luglio in via San Donato dove dopo la S. Messa celebrata
all’aperto alle ore 19.30 l’immagine della Madonna sarà accompagnata
dai fedeli in preghiera percorrendo via S. Donato, via Sammarelli, via Oberdan con rientro in Parrocchia.
Nei giorni 13, 14 e 15 luglio solenne Triduo in preparazione alla festa, con S. Rosario alle ore 18.30 e S. Messa alle ore 19.00.
Giovedì, 16 luglio, presso la nostra Parrocchia, avranno luogo i festeggiamenti in onore della Protettrice. Alle 18,30 sarà celebrata la Santa Messa seguita dalla solenne processione della venerata immagine della Madonna che si snoderà per le vie del quartiere.
Tra le iniziative ricreative e di solidarietà vanno segnalate la pesca di beneficenza, la lotteria e la Sagra del Dolce che avrà luogo sabato 11 e Domenica 12 luglio sul sagrato della chiesa. La sera del 16 luglio si svolgerà la 22a Sagra del panzerotto: allieterà la serata Roberto Todisco con la partecipazione di Graziana Rubino e della scuola di ballo A.S.D. Rumbaguà. Musica ballo e tanto divertimento.
Nei giorni 13, 14 e 15 luglio solenne Triduo in preparazione alla festa, con S. Rosario alle ore 18.30 e S. Messa alle ore 19.00.
Giovedì, 16 luglio, presso la nostra Parrocchia, avranno luogo i festeggiamenti in onore della Protettrice. Alle 18,30 sarà celebrata la Santa Messa seguita dalla solenne processione della venerata immagine della Madonna che si snoderà per le vie del quartiere.
Tra le iniziative ricreative e di solidarietà vanno segnalate la pesca di beneficenza, la lotteria e la Sagra del Dolce che avrà luogo sabato 11 e Domenica 12 luglio sul sagrato della chiesa. La sera del 16 luglio si svolgerà la 22a Sagra del panzerotto: allieterà la serata Roberto Todisco con la partecipazione di Graziana Rubino e della scuola di ballo A.S.D. Rumbaguà. Musica ballo e tanto divertimento.
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