Ricorre oggi la 64ª Giornata Nazionale del Ringraziamento. Nella nostra Parrocchia numerosi sono stati coloro che hanno deciso di offrire i frutti della terra e del proprio lavoro. Al termine della celebrazione liturgica, è stato organizzato un aperitivo in segno di ringraziamento. Di seguito il messaggio preparato dalla Commissione episcopale
della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace:
Messaggio per la 64ª Giornata Nazionale del Ringraziamento
domenica 9 novembre 2014
domenica 2 novembre 2014
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita
nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in
cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti
coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono
addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di
cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché
purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della
vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.
La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in
continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno
completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX,
poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei
santi che erano già in cielo. E’ solo con l’abate benedettino
sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla
commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino
lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro
anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza
suffragio. La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo
dei defunti. Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo:
“Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per
“comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di
tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra
sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In
questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo
scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione
dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto
reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i i credenti viventi
nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in
nome della stessa figliolanza di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù
Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti
durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.
Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei
defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei
defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, sempre riserva un piccolo
spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e
propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti
in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e
vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i
morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per
questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della
morte. La Chiesa, inoltre, sa che “non entrerà in essa nulla di impuro”.
Nessuno può entrare nella visione e nel godimento di Dio, se al momento
della morte, non ha raggiunto la perfezione nell’amore. Per particolari
pratiche, inoltre, come le preghiere e le buone opere, la Chiesa offre
lo splendido dono delle indulgenze, parziali o plenarie, che possono
essere offerte in suffragio delle anime del Purgatorio. Una indulgenza
parziale o plenaria offre alla persona interessata una parziale o
plenaria riduzione delle pene, dovute ai suoi peccati, che sono già
stati perdonati. Tale riduzione può essere fruita anche dai defunti, i
quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente.
La commemorazione dei defunti ebbe origine in Francia all’inizio del
decimo secolo.
Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era
molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue
preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano
applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei
suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere
stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì
incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le
grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta
insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.
Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine
cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la
commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni
anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno. Da allora
quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con
una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e
la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti
sulla terra hanno lasciato all’umanità, e il loro contributo all’aumento
della fede, della speranza, della carità e della grazia nella chiesa.
Il 2 Novembre, poi, ci riporta alla realtà delle cose richiamando la
nostra attenzione sulla caducità della vita. Questo pensiero richiama il
fluire del tempo intorno a noi e in noi.
Ci accorgiamo facilmente della trasformazione e del cambiamento del
mondo a noi circostante: vediamo con indifferenza il passaggio delle
cose e delle persone quando queste scivolano lentamente davanti a noi o
non fanno rumore o non portano dolori e dispiaceri. Ogni passaggio, ogni
spostamento comporta l’impiego del tempo, dice la dinamica della
fisica. Che non è come quello del martello o di un qualsiasi strumento:
dopo l’uso può essere ancora utilizzato. Il tempo no. Il tempo va via
per sempre. Non ritornerà mai più. Resta il frutto maturato in quel
tempo: quel che abbiamo seminiamo in quel tempo produce frutto. Se si è
seminato vento si raccoglierà tempesta, recita il proverbio antico.
Quel che viviamo è altro, non quello di prima. Con maggiore indifferenza
non notiamo il fluire del tempo in noi. Il nostro “io” si erge in noi
come persona fuori dal mondo e, quindi, estranea al mutare delle cose e
al susseguirsi delle stagioni.
Il nostro “io” è l’essere pensante che fa vivere e muovere le cose, che
gioca con il giorno e con la notte e spinge le lancette dell’orologio e
dona emozioni nella gioia e nel dolore. Questo dicono alcuni filosofi
che hanno il culto dell’Idea e che per questo si chiamano idealisti. Ma
poi l’io aggiorna le idee e si adegua ai nuovi pensieri e scopre il
fluire del tempo in sé. L’io eterno entra nel tempo, si fa per dire, e
avverte il suo logorio.
Il presente appare provvisorio, tanto provvisorio da non contare, da
“non essere” in sé: conclusione o epilogo di ieri, anticipo o prologo
del domani. Tutta passa. Giorno dopo giorno il tempo va via. Passo dopo
passo il cammino si affatica sempre più. Atto dopo atto il logorio delle
forze fisiche che invecchiano si fa sempre più sentire. Passano le
gioie e passano pure i dolori. Poi passeremo anche noi; e finiranno su
questa terra anche i nostri giorni. Il richiamo alla realtà della nostra
morte ci invita, pure, a dare importanza alle cose essenziali, ai
valori perenni e universali, che elevano lo spirito e resistono al
tempo. “Accumulate un tesoro nel cielo, dove né tignuola e né ladro
possono arrivare”, consiglia Gesù Cristo ai suoi discepoli.
Se tutto passa, l’amore di Dio resta. Il pensiero ritorna a noi. La
certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere
pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Sarebbe un grande
errore dire: “Mi darò a Dio quando sarò vecchio”, ed aspettare di
cambiare i nostri cuori al momento della morte. Così come nessuno
diventa all’improvviso cattivo, allo stesso modo nessuno diventa in un
attimo buono.
E ricorda che la morte può arrivare senza alcun preannunzio,
improvvisamente. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la
morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il
giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
E’, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci.
Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi
mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro,
mentre prego o sono distratto in altre faccende? Quando mi sorprenderà?
Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, vittima ed
esecutore, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i
veri cristiani non dovrebbe essere così.
La vita è un cammino che comporta il passaggio da una condizione
all’altra, si passa dall’infanzia alla fanciullezza, dalla fanciullezza
alla giovinezza, alla maturità, alla vecchiaia e dalla vecchiaia
all’eternità attraverso la morte. Per questo, vista nella luce di Dio la
morte diventa o dovrebbe diventare un dolce incontro, non un
precipitare nel nulla, ma il contemporaneo chiudersi e aprirsi di una
porta: la terra e il cielo si incontrano su quella porta. Del resto il
pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna
con la preghiera del Rosario: “Santa Maria, madre di Dio prega per noi,
adesso e nell’ora della nostra morte”. Si è detto che la morte sia la
prova più dura della vita, ma non è vero.
E’ l’unica cosa che tutti sanno di dovere affrontare! Il giovane e il
vecchio centenario, l’intelligente e l’idiota, il santo ed il peccatore,
il papa e l’ateo. Come passiamo dall’infanzia alla giovinezza, dalla
giovinezza alla maturità e poi alla vecchiaia, così si passa dalla vita
alla morte. Vista nella luce di Dio la morte diventa un dolce incontro,
non un tramonto, ma una bellissima alba annunciatrice della vita eterna
con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.
Autore: Don Marcello Stanzione
Autore: Don Marcello Stanzione
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