lunedì 31 marzo 2014
venerdì 28 marzo 2014
martedì 25 marzo 2014
lunedì 24 marzo 2014
mercoledì 19 marzo 2014
Semplicemente don Peppe
In onore di don Peppe Diana, testimone di grande umanità e di impegno
fervente contro la camorra e la sua influenza sulla società campana:
Don Peppe era semplicemente un prete, faceva (e bene) quello di mestiere: il capo scout, l’amico dei giovani, dei migranti e delle persone disabili. Il figlio, il fratello e il pastore d’anime. Il tifoso del Napoli e della Ferrari, il superstizioso e lo spericolato alla guida. Tante cose, ma non certo l’eroe. Non affrontava i camorristi a muso duro, non lanciava animosi anatemi, non era capopopolo né stratega. E questo non rende meno importante la sua testimonianza. Anzi, ci conforta nell’affermare che la lotta alle mafie dev’essere patrimonio di ciascuna e ciascuno, senza deleghe in bianco e senza depositari della verità che impartiscono lezioni o dispensano attestati di legalità.
A vent’anni dal suo assassinio don Peppe è testimone vivo di un’antimafia che è impegno quotidiano e concreto per la giustizia sociale, al fianco dei più deboli e al di là degli steccati ideologici. Trasmetteva ai giovani energia ed entusiasmo, agiva con coerenza e nettezza. Don Peppe non aveva i superpoteri, lavorava semplicemente al fianco della sua gente, dopo aver scelto con decisione di restare – lontano da carriere e riflettori cui pure avrebbe potuto ambire – a Casal di Principe, dov’erano le sue radici, il suo popolo, e dov’è maturato il frutto del suo impegno.
Semmai era (e in parte è ancora) il contesto che lo circondava ad essere “speciale”, nel senso però di anomalo: un far west fatto di violenza, affaristi senza scrupoli, politici conniventi, e una immensa zona grigia da cui negli anni è venuto fuori alla spicciolata qualche novello paladino dell’impegno antimafia. Non va dimenticato che vent’anni fa, mentre Giuseppe Quadrano entrava nella Chiesa di San Nicola chiedendo “Chi è don Peppe?”, tanta politica e tanta chiesa avevano la faccia rivolta altrove. A queste persone non è consentito oggi rispondere strumentalmente con il prete di Casale: “Don Peppe sono io”.
Questa frase può pronunciarla soltanto chi riesca a operare nel solco del suo esempio, replicando il metodo della semplicità prima che il “merito” delle sue opere. Non a caso i suoi amici e i coloro che ne hanno raccolto il testimone hanno chiaro in mente che se avesse sentito parlare delle “Terre di don Peppe Diana” avrebbe decisamente storto il naso. Un protagonismo che non gli si addiceva ma che in questi venti anni tanto ha giovato a una terra spesso identificata con il nome di un clan o con il riferimento esclusivo a rifiuti, morti e veleni.
Bene dunque che questo territorio lanci al Paese il suo messaggio di speranza facendo di don Peppe un simbolo, bene che arrivino i libri e le fiction “liberamente ispirate” alla sua vita. Ma se si vuole ottenere davvero un cambiamento non si deve commettere l’errore di farlo diventare l’eroe irraggiungibile e inimitabile da mettere su un piedistallo. Si farebbe un torto alla memoria di don Diana e si arrecherebbe un enorme danno a tutti coloro che le mafie vogliono combatterle nel loro piccolo, semplicemente “per amore del nostro popolo”.
Raffaele Lupoli
Don Peppe era semplicemente un prete, faceva (e bene) quello di mestiere: il capo scout, l’amico dei giovani, dei migranti e delle persone disabili. Il figlio, il fratello e il pastore d’anime. Il tifoso del Napoli e della Ferrari, il superstizioso e lo spericolato alla guida. Tante cose, ma non certo l’eroe. Non affrontava i camorristi a muso duro, non lanciava animosi anatemi, non era capopopolo né stratega. E questo non rende meno importante la sua testimonianza. Anzi, ci conforta nell’affermare che la lotta alle mafie dev’essere patrimonio di ciascuna e ciascuno, senza deleghe in bianco e senza depositari della verità che impartiscono lezioni o dispensano attestati di legalità.
A vent’anni dal suo assassinio don Peppe è testimone vivo di un’antimafia che è impegno quotidiano e concreto per la giustizia sociale, al fianco dei più deboli e al di là degli steccati ideologici. Trasmetteva ai giovani energia ed entusiasmo, agiva con coerenza e nettezza. Don Peppe non aveva i superpoteri, lavorava semplicemente al fianco della sua gente, dopo aver scelto con decisione di restare – lontano da carriere e riflettori cui pure avrebbe potuto ambire – a Casal di Principe, dov’erano le sue radici, il suo popolo, e dov’è maturato il frutto del suo impegno.
Semmai era (e in parte è ancora) il contesto che lo circondava ad essere “speciale”, nel senso però di anomalo: un far west fatto di violenza, affaristi senza scrupoli, politici conniventi, e una immensa zona grigia da cui negli anni è venuto fuori alla spicciolata qualche novello paladino dell’impegno antimafia. Non va dimenticato che vent’anni fa, mentre Giuseppe Quadrano entrava nella Chiesa di San Nicola chiedendo “Chi è don Peppe?”, tanta politica e tanta chiesa avevano la faccia rivolta altrove. A queste persone non è consentito oggi rispondere strumentalmente con il prete di Casale: “Don Peppe sono io”.
Questa frase può pronunciarla soltanto chi riesca a operare nel solco del suo esempio, replicando il metodo della semplicità prima che il “merito” delle sue opere. Non a caso i suoi amici e i coloro che ne hanno raccolto il testimone hanno chiaro in mente che se avesse sentito parlare delle “Terre di don Peppe Diana” avrebbe decisamente storto il naso. Un protagonismo che non gli si addiceva ma che in questi venti anni tanto ha giovato a una terra spesso identificata con il nome di un clan o con il riferimento esclusivo a rifiuti, morti e veleni.
Bene dunque che questo territorio lanci al Paese il suo messaggio di speranza facendo di don Peppe un simbolo, bene che arrivino i libri e le fiction “liberamente ispirate” alla sua vita. Ma se si vuole ottenere davvero un cambiamento non si deve commettere l’errore di farlo diventare l’eroe irraggiungibile e inimitabile da mettere su un piedistallo. Si farebbe un torto alla memoria di don Diana e si arrecherebbe un enorme danno a tutti coloro che le mafie vogliono combatterle nel loro piccolo, semplicemente “per amore del nostro popolo”.
Raffaele Lupoli
San Giuseppe educatore
La Chiesa Cattolica celebra oggi la festa solenne di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale. La ricorrenza sacra cade in concomitanza con la Festa del papà (ci uniamo al Papa nel porgere gli auguri a tutti i papà), istituita per rendere omaggio alla paternità.
In questa giornata, Papa Francesco ha voluto dedicare la catechesi per l'udienza generale, svoltasi ad un anno dalla messa con la quale iniziò il suo pontificato, proprio alla figura di San Giuseppe:
PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 19 marzo 2014
Mercoledì, 19 marzo 2014
San Giuseppe educatore
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi, 19 marzo, celebriamo la festa solenne di san Giuseppe, Sposo di Maria e Patrono della Chiesa universale. Dedichiamo dunque questa catechesi a lui, che merita tutta la nostra riconoscenza e la nostra devozione per come ha saputo custodire la Vergine Santa e il Figlio Gesù. L’essere custode è la caratteristica di Giuseppe: è la sua grande missione, essere custode.
Oggi vorrei riprendere il tema della custodia secondo una prospettiva particolare: la prospettiva educativa. Guardiamo a Giuseppe come il modello dell’educatore, che custodisce e accompagna Gesù nel suo cammino di crescita «in sapienza, età e grazia», come dice il Vangelo. Lui non era il padre di Gesù: il padre di Gesù era Dio, ma lui faceva da papà a Gesù, faceva da padre a Gesù per farlo crescere. E come lo ha fatto crescere? In sapienza, età e grazia.
Partiamo dall’età, che è la dimensione più naturale, la crescita fisica e psicologica. Giuseppe, insieme con Maria, si è preso cura di Gesù anzitutto da questo punto di vista, cioè lo ha “allevato”, preoccupandosi che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo. Non dimentichiamo che la custodia premurosa della vita del Bambino ha comportato anche la fuga in Egitto, la dura esperienza di vivere come rifugiati – Giuseppe è stato un rifugiato, con Maria e Gesù – per scampare alla minaccia di Erode. Poi, una volta tornati in patria e stabilitisi a Nazareth, c’è tutto il lungo periodo della vita di Gesù nella sua famiglia. In quegli anni Giuseppe insegnò a Gesù anche il suo lavoro, e Gesù ha imparato a fare il falegname con suo padre Giuseppe. Così Giuseppe ha allevato Gesù.
Passiamo alla seconda dimensione dell’educazione, quella della «sapienza». Giuseppe è stato per Gesù esempio e maestro di questa sapienza, che si nutre della Parola di Dio. Possiamo pensare a come Giuseppe ha educato il piccolo Gesù ad ascoltare le Sacre Scritture, soprattutto accompagnandolo di sabato nella sinagoga di Nazareth. E Giuseppe lo accompagnava perché Gesù ascoltasse la Parola di Dio nella sinagoga.
E infine, la dimensione della «grazia». Dice sempre San Luca riferendosi a Gesù: «La grazia di Dio era su di lui» (2,40). Qui certamente la parte riservata a San Giuseppe è più limitata rispetto agli ambiti dell’età e della sapienza. Ma sarebbe un grave errore pensare che un padre e una madre non possono fare nulla per educare i figli a crescere nella grazia di Dio. Crescere in età, crescere in sapienza, crescere in grazia: questo è il lavoro che ha fatto Giuseppe con Gesù, farlo crescere in queste tre dimensioni, aiutarlo a crescere.
Cari fratelli e sorelle, la missione di san Giuseppe è certamente unica e irripetibile, perché assolutamente unico è Gesù. E tuttavia, nel suo custodire Gesù, educandolo a crescere in età, sapienza e grazia, egli è modello per ogni educatore, in particolare per ogni padre. San Giuseppe è il modello dell’educatore e del papà, del padre. Affido dunque alla sua protezione tutti i genitori, i sacerdoti – che sono padri –, e coloro che hanno un compito educativo nella Chiesa e nella società. In modo speciale, vorrei salutare oggi, giorno del papà, tutti i genitori, tutti i papà: vi saluto di cuore! Vediamo: ci sono alcuni papà in piazza? Alzate la mano, i papà! Ma quanti papà! Auguri, auguri nel vostro giorno! Chiedo per voi la grazia di essere sempre molto vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere, ma vicini, vicini! Loro hanno bisogno di voi, della vostra presenza, della vostra vicinanza, del vostro amore. Siate per loro come san Giuseppe: custodi della loro crescita in età, sapienza e grazia. Custodi del loro cammino; educatori, e camminate con loro. E con questa vicinanza, sarete veri educatori. Grazie per tutto quello che fate per i vostri figli: grazie. A voi tanti auguri, e buona festa del papà a tutti i papà che sono qui, a tutti i papà. Che san Giuseppe vi benedica e vi accompagni. E alcuni di noi hanno perso il papà, se n’è andato, il Signore lo ha chiamato; tanti che sono in piazza non hanno il papà. Possiamo pregare per tutti i papà del mondo, per i papà vivi e anche per quelli defunti e per i nostri, e possiamo farlo insieme, ognuno ricordando il suo papà, se è vivo e se è morto. E preghiamo il grande Papà di tutti noi, il Padre. Un “Padre nostro” per i nostri papà: Padre Nostro…
E tanti auguri ai papà!
mercoledì 5 marzo 2014
La Quaresima, tempo forte per la conversione
Nel giorno che segna l'inizio del periodo quaresimale introdotto dal rito austero delle Ceneri (alle 18.30 la celebrazione del Mercoledì delle Ceneri avrà luogo nella nostra Parrocchia), Papa Francesco, durante la consueta Udienza Generale, si è soffermato sull'importanza del tempo quaresimale, definito tempo forte per la conversione:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno
inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri, l’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza. La Quaresima ci prepara a questo momento tanto importante, per questo è un tempo “forte”, un punto di svolta che può favorire in ciascuno di noi il cambiamento, la conversione. Tutti noi abbiamo bisogno di migliorare, di cambiare in meglio. La Quaresima ci aiuta e così usciamo dalle abitudini stanche e dalla pigra assuefazione al male che ci insidia. Nel tempo quaresimale la Chiesa ci rivolge due importanti inviti: prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo; vivere con più impegno il proprio Battesimo.
La consapevolezza delle meraviglie che il Signore ha operato per la nostra salvezza dispone la nostra mente e il nostro cuore ad un atteggiamento di gratitudine verso Dio, per quanto Egli ci ha donato, per tutto ciò che compie in favore del suo Popolo e dell’intera umanità. Da qui parte la nostra conversione: essa è la risposta riconoscente al mistero stupendo dell’amore di Dio. Quando noi vediamo questo amore che Dio ha per noi, sentiamo la voglia di avvicinarci a Lui: questa è la conversione.
Vivere fino in fondo il Battesimo – ecco il secondo invito – significa anche non abituarci alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città e dei nostri paesi. C’è il rischio di accettare passivamente certi comportamenti e di non stupirci di fronte alle tristi realtà che ci circondano. Ci abituiamo alla violenza, come se fosse una notizia quotidiana scontata; ci abituiamo a fratelli e sorelle che dormono per strada, che non hanno un tetto per ripararsi. Ci abituiamo ai profughi in cerca di libertà e dignità, che non vengono accolti come si dovrebbe. Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio, nella quale i genitori non insegnano più ai figli a pregare né a farsi il segno della croce. Io vi domando: i vostri figli, i vostri bambini sanno farsi il segno della croce? Pensate. I vostri nipoti sanno farsi il segno della croce? Glielo avete insegnato? Pensate e rispondete nel vostro cuore. Sanno pregare il Padre Nostro? Sanno pregare la Madonna con l’Ave Maria? Pensate e rispondetevi. Questa assuefazione a comportamenti non cristiani e di comodo ci narcotizza il cuore!
La Quaresima giunge a noi come tempo provvidenziale per cambiare rotta, per recuperare la capacità di reagire di fronte alla realtà del male che sempre ci sfida. La Quaresima va vissuta come tempo di conversione, di rinnovamento personale e comunitario mediante l’avvicinamento a Dio e l’adesione fiduciosa al Vangelo. In questo modo ci permette anche di guardare con occhi nuovi ai fratelli e alle loro necessità. Per questo la Quaresima è un momento favorevole per convertirsi all’amore verso Dio e verso il prossimo; un amore che sappia fare proprio l’atteggiamento di gratuità e di misericordia del Signore, il quale «si è fatto povero per arricchirci della sua povertà» (cfr 2 Cor 8,9). Meditando i misteri centrali della fede, la passione, la croce e la risurrezione di Cristo, ci renderemo conto che il dono senza misura della Redenzione ci è stato dato per iniziativa gratuita di Dio.
Rendimento di grazie a Dio per il mistero del suo amore crocifisso; fede autentica, conversione e apertura del cuore ai fratelli: questi sono elementi essenziali per vivere il tempo della Quaresima. In questo cammino, vogliamo invocare con particolare fiducia la protezione e l’aiuto della Vergine Maria: sia Lei, la prima credente in Cristo, ad accompagnarci nei giorni di preghiera intensa e di penitenza, per arrivare a celebrare, purificati e rinnovati nello spirito, il grande mistero della Pasqua del suo Figlio.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno
inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri, l’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza. La Quaresima ci prepara a questo momento tanto importante, per questo è un tempo “forte”, un punto di svolta che può favorire in ciascuno di noi il cambiamento, la conversione. Tutti noi abbiamo bisogno di migliorare, di cambiare in meglio. La Quaresima ci aiuta e così usciamo dalle abitudini stanche e dalla pigra assuefazione al male che ci insidia. Nel tempo quaresimale la Chiesa ci rivolge due importanti inviti: prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo; vivere con più impegno il proprio Battesimo.
La consapevolezza delle meraviglie che il Signore ha operato per la nostra salvezza dispone la nostra mente e il nostro cuore ad un atteggiamento di gratitudine verso Dio, per quanto Egli ci ha donato, per tutto ciò che compie in favore del suo Popolo e dell’intera umanità. Da qui parte la nostra conversione: essa è la risposta riconoscente al mistero stupendo dell’amore di Dio. Quando noi vediamo questo amore che Dio ha per noi, sentiamo la voglia di avvicinarci a Lui: questa è la conversione.
Vivere fino in fondo il Battesimo – ecco il secondo invito – significa anche non abituarci alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città e dei nostri paesi. C’è il rischio di accettare passivamente certi comportamenti e di non stupirci di fronte alle tristi realtà che ci circondano. Ci abituiamo alla violenza, come se fosse una notizia quotidiana scontata; ci abituiamo a fratelli e sorelle che dormono per strada, che non hanno un tetto per ripararsi. Ci abituiamo ai profughi in cerca di libertà e dignità, che non vengono accolti come si dovrebbe. Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio, nella quale i genitori non insegnano più ai figli a pregare né a farsi il segno della croce. Io vi domando: i vostri figli, i vostri bambini sanno farsi il segno della croce? Pensate. I vostri nipoti sanno farsi il segno della croce? Glielo avete insegnato? Pensate e rispondete nel vostro cuore. Sanno pregare il Padre Nostro? Sanno pregare la Madonna con l’Ave Maria? Pensate e rispondetevi. Questa assuefazione a comportamenti non cristiani e di comodo ci narcotizza il cuore!
La Quaresima giunge a noi come tempo provvidenziale per cambiare rotta, per recuperare la capacità di reagire di fronte alla realtà del male che sempre ci sfida. La Quaresima va vissuta come tempo di conversione, di rinnovamento personale e comunitario mediante l’avvicinamento a Dio e l’adesione fiduciosa al Vangelo. In questo modo ci permette anche di guardare con occhi nuovi ai fratelli e alle loro necessità. Per questo la Quaresima è un momento favorevole per convertirsi all’amore verso Dio e verso il prossimo; un amore che sappia fare proprio l’atteggiamento di gratuità e di misericordia del Signore, il quale «si è fatto povero per arricchirci della sua povertà» (cfr 2 Cor 8,9). Meditando i misteri centrali della fede, la passione, la croce e la risurrezione di Cristo, ci renderemo conto che il dono senza misura della Redenzione ci è stato dato per iniziativa gratuita di Dio.
Rendimento di grazie a Dio per il mistero del suo amore crocifisso; fede autentica, conversione e apertura del cuore ai fratelli: questi sono elementi essenziali per vivere il tempo della Quaresima. In questo cammino, vogliamo invocare con particolare fiducia la protezione e l’aiuto della Vergine Maria: sia Lei, la prima credente in Cristo, ad accompagnarci nei giorni di preghiera intensa e di penitenza, per arrivare a celebrare, purificati e rinnovati nello spirito, il grande mistero della Pasqua del suo Figlio.
lunedì 3 marzo 2014
Iscriviti a:
Post (Atom)